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martedì 19 nov
  • Racconti ucronici, cronache di una Palermo possibile: Ducrot

    Racconti ucronici, cronache di una Palermo possibile: Ducrot

    Gabriele era un ex “lavoratore socialmente utile” e da alcuni anni era stato assunto dalla municipale con la mansione di spazzino. Ogni mattina si alzava alle 6:30 e andava a pulire il suo rione preferito: la Zisa.

    Amava l’atmosfera che vi si respirava. Gli sembrava un piccolo paese, con caratteristiche uniche e diverse dal resto della sua grande città, Palermo. I palazzi che vi erano edificati avevano uno stile univoco, decori semplici, popolari, gradevoli e sobri, tipici degli anni 50/60.
    Nell’antichità era esistito un grande parco intorno al castello della Zisa, meravigliosa residenza regale arabo-normanna: al-‘aziz, “splendido” era il significato del suo nome. E nella zona scorreva anche un fiume che si chiamava come lui, il Gabriele! Ogni mattina si intratteneva con i commercianti locali, salutava le donne che andavano a far spese, i bambini che si incamminavano verso la scuola e gli ambulanti che vendevano le panelle, lo sfincione e il pesce fresco.

    Il suo giro cominciava dalla piazza Principe di Camporeale e poi girava tutt’intorno al Castello: via Paolo Gili, via Whitaker, via Normanni, via Zisa…

    Gabriele era un’anima candida, un sognatore. Non legava molto con i colleghi che borbottavano spesso, volevano affaticarsi poco e preferivano scegliere un turno che fosse comodo per i loro impegni familiari. Gabriele al contrario amava tenere pulite le strade e si girava intorno compiaciuto, alla fine di ogni via o slargo, per ammirare il risultato ottenuto.

    La mattina del 2 aprile iniziò il suo turno con molto anticipo perché durante la notte non era quasi riuscito a dormire. Arrivò in piazza alle 5 ed era ancora buio. Con calma meticolosa cominciò a spazzare e raccogliere cartacce e rifiuti e nel frattempo osservava le sagome delle costruzioni, gli alberi, le auto parcheggiate diventare sempre più nitide e visibili man mano che si avvicinava l’alba.

    Quando fu in via Paolo Gili si appoggiò sul muro del palazzone moderno che si trova all’inizio della strada, per una piccola pausa, piegò la testa in avanti e si lasciò scivolare a terra, seduto.

    Inspiegabilmente, proprio lì, si addormentò per qualche minuto.

    Un suono di campanelle lo svegliò di soprassalto e in un attimo fu in piedi, sperando di non esser stato visto dai passanti.

    Si guardò intorno. Dietro di lui un lungo edificio vivacemente colorato delimitava la strada nuova e piena di aiuole fiorite. Alcune automobili eleganti si fermavano davanti all’ingresso e ne scendevano personaggi apparentemente di gran classe.

    Le campane che lo avevano svegliato erano il suono che il cancello di ingresso emetteva ad ogni sua apertura.

    Si avvicinò incuriosito per chiedere informazioni al portinaio, tutto azzimato, ma lui lo anticipò: «Buongiorno signor Pampillonia, oggi è arrivato prima del solito! Prego, ecco questa è la sua posta…». Gabriele, sempre più stupito, prese le buste ed entrò. Fu immediatamente salutato da tutti ed un collega gli chiese se avesse dato un’occhiata alla sua proposta, seguendolo, anzi conducendolo nella sua stanza.

    Lui rispose che non aveva avuto il tempo necessario e che la avrebbe esaminata al più presto, non dimenticando di farsela indicare, tra quelle sul tavolo, prima di congedare lo sconosciuto.
    Quella era la sua stanza di lavoro! Un ufficio pieno di disegni di oggetti artistici di cui lui, proprio lui, realizzava i prototipi. Ce n’erano diversi sui tavoli, alcuni completi altri in lavorazione. Erano per lo più orologi, vasi, piatti da parete, portacenere, soprammobili di varie forme, molto colorati, con uno stile impreziosito, delizioso ed inconfondibile. In un piccolo magazzino attiguo alla sua stanza, v’era un deposito di materiali di svariatissimi generi, dal cuoio alle fibre di carbonio, dalle vernici all’argilla, dai metalli al legno e poi tantissimi piccoli attrezzi per la costruzione dei modelli. Chiuse la porta e cominciò a curiosare in quella stanza. Si trattava di oggetti ispirati alla tradizione artigiana siciliana, rielaborati e con una impronta personalizzata molto originale e accattivante. Fu in quel momento che, passando davanti ad uno specchio, si accorse che i suoi abiti erano totalmente diversi da quelli che aveva indossato quella mattina.

    Continuò ad esaminare quella nuova realtà cercando di comprendere il senso di ciò che gli stava accadendo, finché non arrivò l’orario di chiusura dell’attività e degli uffici. Non gli rimase nient’altro da fare che uscire dalla stanza e dalle Officine, a malincuore, insieme a tutti gli altri. Ciascuno degli impiegati salutò gli altri e si avviò verso casa. Anche Gabriele si incamminò nella direzione in cui aveva lasciato il suo carrello per la raccolta della spazzatura, ma prima si voltò in cerca di un’insegna e la vide, in alto, luminosa e raffinata: Officine D & G int. – Mediterranean Creativity. Arrivato all’inizio della Via Paolo Gili, guardò verso la piazza e la vide così adorna e lussureggiante, che sentì la curiosità di esplorarla più da vicino. Attraversò la strada e si sedette su una panchina a riflettere sulla sua davvero inconsueta giornata.

    Fu svegliato improvvisamente da una pallonata maldestra di alcuni ragazzi che giocavano poco distante e si accorse di esser tornato bruscamente nella sua consueta realtà di tutti i giorni. Riportò i suoi attrezzi da lavoro nel deposito della municipale e tornò nel suo monolocale mansardato, poco distante, con animo ancora incredulo e frastornato.

    Il giorno dopo si avviò al suo consueto lavoro. Tuttavia sentiva interiormente un inespresso desiderio di replicare l’avventura già vissuta. Arrivò quindi con un po’ di anticipo ed, una volta che fu in via Paolo Gili, ripeté le azioni compiute il giorno avanti. Il rito ebbe successo e Gabriele Pampillonia si ritrovò ancora una volta all’interno del suo ufficio creativo a realizzare prototipi per una azienda di altissimo rilievo internazionale. Era molto felice di questi momenti. Sentiva di star vivendo qualcosa di significativo per sé stesso, ma questa nuova realtà era stata ancor più rilevante soprattutto per il presente ed il futuro della sua città. Tuttavia non si spiegava come ciò fosse possibile, era incredulo. Forse era un sogno?

    Cominciò ad indagare tra i colleghi del nuovo lavoro ma soprattutto prese a leggere i documenti che aveva in ufficio. Le Officine D & G avevano rilevato un vecchio mobilificio di Palermo in un momento di bassa fortuna, intorno agli anni ’70, un mobilificio che era stato straordinariamente e meritatamente famoso tra la fine dell’800 e la prima metà del secolo ventesimo: il suo nome era Officine Ducrot. Le Officine Ducrot avevano fornito mobili e suppellettili per palazzi nobiliari, per hotel di lusso, per navi da crociera e palazzi dello Stato. Durante la guerra erano state riadattate a forniture belliche (aeromobili) e successivamente erano tornate a
    produrre mobili alternando momenti di alta e di bassa fortuna. La richiesta di prodotti per l’arredamento, dopo le due guerre, era maggiormente orientata a mobili economici e prodotti in serie mentre le Officine Ducrot, al contrario, seguivano un procedimento artistico di alto livello, spesso con elementi dal disegno originale, unico e materiali ricercati. Per questo motivo la richiesta, e quindi la loro produttività, andò calando sempre più.

    Negli anni ’70, però, una grande casa di moda e accessori, famosa in tutto il mondo, decise di creare un polo manifatturiero proprio a Palermo, con lo scopo di dare risalto ed impulso ad arti e mestieri della tradizione mediterranea. Acquistò le Officine e le riorganizzò secondo nuove esigenze. Nella nuova azienda c’erano sezioni dedicate alla ceramica tradizionale, all’oreficeria, all’intaglio del legno, al ricamo, alla lavorazione delle pelli, ed una sezione interamente dedicata alla passamaneria. Le nuove Officine D & G al momento avevano più di 5000 collaboratori, interni ed esterni al polo manifatturiero. Un’autentica fucina per artisti ed un fulcro di attrazione per eventi internazionali.

    Dalle notizie che Gabriele attinse qua e là, l’azienda era stata un vero toccasana per la città. Molti erano i collaboratori che vivevano in città, pur misti ad artisti e professionisti nazionali ed internazionali. Lo scambio intellettuale ed umano, l’orgoglio per essere parte di un progetto così eccellente avevano dato un energico impulso ad una comunità depressa e sfiduciata.

    Gabriele tornò per diversi giorni ad usare il solito stratagemma e ritrovarsi in questa realtà alternativa così carica di speranza e soddisfazioni lavorative ed emozionali. Non sapeva se gli sarebbe stato concesso di poter aprire ogni giorno quella porta di accesso alla sua seconda vita.

    Si impegnò moltissimo, e nel più breve tempo, ad apprendere ogni segreto, ogni strategia, ogni abilità mentale e manuale del suo nuovo lavoro. Ogni giorno trascorso all’interno delle Officine D & G era un regalo per lui.

    Due mesi dopo pensò di agire. Temeva che un giorno quel varco tra il Regno delle Realtà Possibili ed il Regno dell’Esistenza si potesse chiudere e la sua vita ripiombare nel grigiore di sempre. Voleva portare la nuova realtà nella sua vita, ormai completamente diversa, e nella sua città.

    Durante il fine settimana, stilò un elenco di grandi e famose case di moda, scrisse a ciascuna una lettera con il racconto della sua straordinaria avventura, e della nuova esperienza acquisita, spiegando che lui sarebbe stato in grado di organizzare una attività del tutto simile e che ogni sogno aveva diritto ad una chance. Lui stava chiedendo di concederla a sé stesso ma soprattutto alla sua amata città.

    Quel giorno inviò tutte le lettere ed alla fine era stremato.

    Si addormentò felice, sicuro che ci sarebbe riuscito.

    Pianta Officine Ducrot

    Palermo, Racconti ucronici
  • 4 commenti a “Racconti ucronici, cronache di una Palermo possibile: Ducrot”

    1. Bellissimo racconto. Mi ha regalato storia e sogno.

    2. Come sempre, Angela Terrazzini, usa il registro dell’immaginazione per parlare della realtà di questa città degradata, ma che vive in lei intatta, fattiva e inalterata. L’immaginazione diventa una sorta di chiavistello attraverso il quale riappropriarsi di questo passato e farlo tornare in vita.

    3. Racconto delizioso. Traspare l’amore per la propria città e il volere continuare a nutrire gli ideali e i valori, cosa importantissima di fronte a questi tempi difficili.

    4. Ogni sogno ha diritto a una chance!
      Mi sono commossa.
      Brava!

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