Racconti ucronici, cronache di una Palermo possibile: tram e filobus
Marì compiva 27 anni il prossimo mese ed aveva in mente di festeggiare come si conveniva, tra la buona borghesia della sua amata città, Palermo.
Era una donna intraprendente, curiosa di tutto, studiosa e abbastanza diversa dalle sue amiche che, in maggioranza, si erano già accasate o che l’avrebbero fatto al più presto. Non temeva nessuno, camminava a testa alta, amava la sua libertà, tuttavia non aveva ancora maturato la sicurezza e l’esperienza che sarebbe stata opportuna in una persona così ardimentosa. A volte era un po’ timida, spesso troppo educata, ingenua in alcuni frangenti. L’educazione famigliare e la società del suo tempo la tenevano a freno troppo spesso e ne limitavano la spavalderia e la relativa messa in pratica. Era il 1930 e l’emancipazione femminile era ai nastri di partenza. Marì scalpitava.
Era un’esperta di arte e letteratura e, per questo, piuttosto richiesta in alcuni salotti buoni per curare l’organizzazione delle riunioni o delle feste, selezionare gli invitati, offrire spunti di discussione ed attirare artisti di belle speranze. Per rendersi indipendente collaborava con alcune sartorie e creatrici di moda della sua città, disegnando per loro i modelli o le basi per il ricamo.
Indossava abiti di buona fattura ma era ancora troppo rigida e conformista quando si trattava della sua immagine. Le mancava un’ulteriore buona dose di coraggio e di spregiudicatezza.
Indossava quindi abiti eleganti, classici ma non particolarmente appariscenti. Chi la incontrava difficilmente coglieva i tratti del suo carattere: essi erano coperti da una buona coltre di riservatezza.
Le famiglie che richiedevano i suoi servigi vivevano nei dintorni della zona di Palermo che ruotava intorno al Teatro Politeama Garibaldi ed in prossimità della via della Libertà. Lei stessa aveva una graziosa abitazione tutta per sé in via Bettino Ricasoli, accanto alla casa di una zia cui era molto affezionata e che le aveva insegnato alcuni rudimenti nel campo della sartoria e della moda.
Sempre più spesso però, e soprattutto nella stagione estiva, doveva recarsi per lavoro a Mondello, dove molte famiglie costruivano e allestivano eleganti villini dove trascorrere i mesi più caldi ed i loro momenti di gioia.
Marì raggiungeva la meta senza difficoltà prendendo il tram, linea D o linea F, sulla via della Libertà, seguendo il suo semplice percorso che svoltava prima a destra per il piano dell’Ucciardone e successivamente a sinistra verso il Monte Pellegrino costeggiandolo tutto fino ad arrivare a Mondello. Il tram di “Les Tramways de Palerme” era alimentato attraverso dei fili, dove era immessa una linea di corrente elettrica continua, cui si collegava tramite delle aste, dette pantografi. All’interno, le panchine per sedersi erano in metallo, rigide e un po’ scomode, soprattutto quando il mezzo affrontava una curva, tuttavia si arrivava rapidamente e non c’era tempo per stancarsi.
Tante altre linee erano attive a Palermo e con il tram era facile raggiungere molte zone della città, quando non si disponeva di una automobile propria.
I punti in cui partivano la maggior parte dei collegamenti erano a piazza Marina, da cui si poteva raggiungere le borgate di Acquasanta, San Lorenzo, Romagnolo, Noce. Ma si poteva partire anche da piazza Bologni per andare a Monreale o Porrazzi. Dalla via Roma partivano le due linee per Mondello, quelle che frequentava Marì, ma anche le linee che la collegavano con il castello della Zisa, il Politeama o l’ingresso del giardino della Favorita con la sua porta dei Leoni.
Sul tram si incontravano molti tipi di viaggiatori, soprattutto uomini ovvero donne accompagnate. Marì era spesso da sola. Non di rado alcuni giovanotti cercavano di iniziare un dialogo con lei, senza grande successo. C’era un viaggiatore che era spesso sulla sua stessa linea, sicuramente più grande di lei, piuttosto baldanzoso pur senza mostrarlo eccessivamente: era consapevole del suo successo e discretamente sicuro di sé. Si incontravano spesso su quel tram, e segretamente si studiavano. Un lunedì in una giornata grigia e leggermente piovosa il tram si bloccò, proprio davanti alla Casina alla Cinese ed il conducente prese ad armeggiare per riparare la vettura. L’uomo allora si avvicinò a Marì e si presentò: Filippo dei Marchesi di Ravarina era il suo nome. Era a Palermo per lavoro, era nel commercio e intratteneva i suoi affari con molta parte dell’alta società. Si scambiarono opinioni sui metodi migliori per trattare gli affari, sulle diverse personalità tipiche dei palermitani e su come fosse difficile vincerne talvolta la diffidenza e facile tal’altra affascinarli con qualche astuzia.
Il tempo trascorse velocemente e ripresero il loro tragitto salutandosi con sincera simpatia.
Incontrarsi divenne una consuetudine e giorno dopo giorno iniziarono a confidarsi piccole questioni della quotidianità, inframmezzate da riflessioni di inaspettata profondità. Marì pensava a lui come “l’uomo del tram”. Piano piano l’uomo del tram riempì i vuoti delle sue giornate, si intrufolò negli spazi liberi della sua vita, e quando Filippo dei Marchesi di Ravarina fu sicuro di avere preso il cuore ed i pensieri di Marì, la invitò ad una passeggiata romantica sulla spiaggia di Mondello e trovò un angolo riparato, tra la chioma di un albero e la falda del di lei cappellino a Cloche, per rapirla con un bacio appassionato. Marì cercò di mantenere salda la sua rotta, si impose di continuare la sua vita di sempre, non accettò di modificare nulla delle sue abitudini. Inizialmente. Ma pian piano le sue certezze si ammorbidirono e in alcuni casi la sua fermezza vacillò. Il primo momento di crisi reale lo ebbe quando lui, l’uomo del tram, confessò di essere un uomo sposato, che la moglie viveva a Tivoli, la sua città d’origine, e che avevano due figli. La rassicurò tuttavia completamente sul fatto che non ci fosse più alcun rapporto tra loro, tanto che presto avrebbe chiesto l’annullamento del matrimonio, tramite alcune amicizie che aveva in ambienti ecclesiastici. E la cosa era imminente.
Marì gli volle credere, nonostante fosse davvero molto turbata ed arrabbiata. In fondo però questo ritardo nella formalizzazione del loro rapporto le dava modo di abituarsi alla nuova condizione di donna “fidanzata” ed in procinto di metter su famiglia, passo verso cui non si sentiva completamente pronta.
Era curiosa di avere notizie della sconosciuta moglie e della famiglia di lui e lo convinse pian piano a mostrarle le foto: la sua donna doveva essere stata una donna avvenente e questo la impensierì abbastanza.
Il tempo passava, Marì e Filippo trovavano a volte ville o altre abitazioni momentaneamente vuote dove incontrarsi clandestinamente e la loro unione era ciononostante davvero molto armoniosa. Ma a volte lui doveva ritornare a Tivoli per brevi periodi, e ciò influenzava negativamente il loro rapporto.
Al ritorno Filippo era così amorevole da farle dimenticare ogni nube e Marì si sentiva sicura con quell’uomo del tram. A volte lei chiedeva notizie dell’annullamento del matrimonio e lui ne parlava come di qualcosa di certo, scontato, indiscutibile, prossimo. Un giorno però lui le confidò che aveva timore della condanna di sua madre, donna molto all’antica. Con l’annullamento del matrimonio probabilmente la mamma di Filippo si sarebbe arrabbiata molto con lui e ne avrebbe avuto un forte dispiacere. Anche lui ne avrebbe molto sofferto. Dopo una accorata conversazione tuttavia convenirono che bisognava assolutamente spiegare alla madre la situazione, cioè della concreta separazione di fatto, e convincerla che non c’era altra soluzione, se lei teneva alla felicità di suo figlio.
Dopo diversi mesi però Filippo non aveva ancora parlato alla mamma e Marì ne era sempre più frustrata. Il loro rapporto era basato su solide basi di amore ma anche di condivisione di principi, di abitudini, di frequentazioni e di scelte culturali. Spesso li si vedeva insieme nelle feste e nei ritrovi della buona società palermitana e molti non comprendevano come mai Marì continuasse ad essergli accanto. Ma lei sembrava così felice!
Il loro lavoro li faceva incontrare ancora spesso sul tram e molti viaggiatori abituali ormai li conoscevano bene e li avevano in grande riguardo. Marì sfoggiava spesso i suoi deliziosi cappellini: ne aveva a Cloche, o dal modello Fascinator o Derby Kentucky, in una girandola di colori. Le stavano davvero bene perché lasciavano fuoriuscire i suoi riccioli bruni, armoniosamente.
Passarono così i mesi e divennero anni, alcuni anni.
L’autista del tram divenne loro amico e poi lui fu assegnato ad un’altra linea ed anche il successivo autista divenne loro amico. Nel 1935, a maggio, Filippo ebbe l’ardire di proporre a Marì un viaggio a Roma. Marì accettò. Era spaventata ma non voleva confessarlo. Andarono in treno e presero una suite al Bellevue. Marì era emozionatissima, sarebbe stata con lui liberamente per la prima volta. Non dovevano nascondersi da sguardi indiscreti o malelingue.
Tuttavia sapeva bene che era una libertà ed una sicurezza effimera, volatile. La sua anima era inquieta, tant’è che non riuscì mai a dormire, nessuna delle tre notti che trascorsero lì. Fecero i turisti, girarono per i monumenti, passeggiarono mano nella mano, abbracciati, felici.
Tivoli era vicinissima, fisicamente e nei pensieri. Ma nessuno dei due ne parlò.
Quando tornarono Marì si ammalò. Spesso aveva mal di testa, febbre, debolezza, svenimenti. Le ci vollero sei mesi di cure e riposo per ritornare ad essere la giovane conquistatrice del mondo che sentiva di essere.
L’uomo del tram era nel suo cuore, era stato importante, ma proprio lui aveva rotto, giorno dopo giorno, qualcosa in lei, come una macchina che si logora con l’usura quando percorre una strada che non è la sua. Lo stridio sui binari sovente consumava le ruote del tram e costituiva una spina nel fianco, sempre presente, sempre pungente.
L’apparente abitudine al dolore in un essere umano, che lo rende invisibile ai più, esplode improvvisamente come un vulcano, da qualche altra parte della terra, dando libero sfogo al male interno covato da tempo. Più è lungo il tempo e più l’eruzione sarà violenta e liberatoria.
Tuttavia Marì gli rimase a fianco, fedele ma senza gli entusiasmi dei primi anni, a luci basse, fiduciosa che sarebbe arrivato il momento in cui lui, l’uomo del tram, avrebbe finalmente trovato il coraggio di una decisione.
Dal 1937 le linee D ed F del tram furono numerate e incrementate: diventarono le 14, 15 e 16, ed il nome dell’azienda di gestione fu tradotto in italiano, su iniziativa del Governo fascista: Le Tranvie di Palermo. Altre linee furono soppresse e man mano sostituite da autobus in alcuni percorsi. Non cambiò molto ma iniziò un lento ed inesorabile declino della rete tramviaria, poiché le macchine e i vagoni diventavano vecchi e la loro manutenzione, nonché quella della rete, era difficoltosa e costosa. Così diceva il Governo fascista. La sostituzione con i filobus era un’operazione commerciale piuttosto ghiotta e lo stesso Filippo, messe da parte le velleità romantiche legate al tram, partecipò commercialmente all’affare.
Il 1939 fu l’anno in cui finalmente riuscì l’instaurazione del cambiamento e furono sostituite le vetture in molti percorsi, quelli che prima erano affidati esclusivamente al tram. I nuovi filobus sfilarono per Palermo nuovi fiammanti e la città si sentì privilegiata e rinnovata. Accolse la novità con entusiasmo e fiducia. Filippo dei Marchesi di Ravarina ebbe un consistente guadagno da questa operazione commerciale ed era in vena di festeggiare. Era invitato ad una cena con tutti i funzionari della città, il Podestà, ed alcuni rappresentanti del Governo venuti da Roma.
Marì non era invitata, anzi era già da qualche mese che il loro rapporto poteva considerarsi finito, inaridito, ridotto al lumicino. Marì gliene aveva parlato e lui le aveva confermato il suo disinteresse a continuare.
Così Marì quella sera accettò l’invito di Stefano Sciacchitano, un corteggiatore di lunga data cui lei non aveva mai dato alcuna opportunità, fino a quel giorno.
Quella sera lei si sentiva improvvisamente libera, senza vincoli, con il cuore leggero e l’anima in pace. Stefano fu dolcissimo, le regalò la sua meritata importanza e Marì si sentì per la prima volta, dopo molto tempo, una principessa. Trascorsero tutta la notte insieme. Marì dimenticò il mondo e le frustrazioni degli ultimi nove anni e ritornò a casa, esausta ma spensierata, solo al mattino.
La zia le disse che era passato a cercarla il sig. Filippo dei Marchesi di Ravarina, a notte inoltrata.
Fu molto stupita da questa novità, lui non era mai andato a cercarla in casa di notte, e non ne fu affatto contenta. Andò a dormire e quando si risvegliò, il pomeriggio del giorno dopo, fu raggiunta da una comune amica che le disse che Filippo era dovuto partire improvvisamente perché la madre era morta.
La madre di Filippo era dunque morta.
La notizia tanto attesa, che avrebbe dovuto liberarli dallo stallo in cui era precipitato il loro rapporto sentimentale giungeva così, nel momento in cui non le importava più. La morte della madre di Filippo, che aveva inconsapevolmente così tanto limitato la loro vita, era avvenuta esattamente durante la notte in cui Marì, per la prima volta in nove anni, aveva sentito la sua vita improvvisamente libera e leggera.
Filippo provò a cercarla innumerevoli volte nei giorni successivi ma Marì non gli volle più parlare. Lui escogitò diversi stratagemmi, minacciò il suicidio, rivolse le sue grida disperate ad alcuni amici comuni, nondimeno fu tutto vano.
Marì ebbe consapevolezza di aver accettato per troppo tempo la sua autosvalutazione e promise a sé stessa che non sarebbe più accaduto. Aveva sprecato diversi anni della sua vita, imparando nevvero moltissimo, eppur sacrificando buona parte della sua integrità. No, non voleva continuare su questa strada.
Filippo dei Marchesi di Ravarina ne impazzì. Il suo rapporto con Marì divenne pubblico poiché egli iniziò a raccontare a tutti le sue pene d’amore. La seguì, la spiò, la supplicò. Ma non riuscì a recuperarne l’affetto.
Marì apprese dai giornali, alcune settimane dopo, che Filippo dei Marchesi di Ravarina si era costituito all’autorità giudiziaria di Roma, confessando alcuni affari illegali che lo avevano portato ad ottenere grandi guadagni nell’operazione di sostituzione dei tram con i filobus. Denunciò anche diversi funzionari statali e signorotti della Palermo più in vista. Fu uno scandalo devastante. Il Governo fascista fu costretto a smantellare le nuove linee, ed i nuovi mezzi, ancora nuovi fiammanti, furono sequestrati dalle autorità. L’amministrazione cittadina fu costretta a ripristinare i vecchi tram ed a trovare soluzioni economiche per la loro manutenzione. Alcune linee di quel tempo sono ancora oggi in funzione.
Era il 1° giugno del 1939. Il Governo fascista fu travolto da uno scandalo epocale e dovette dare le dimissioni. Moltissimi politici furono arrestati e non poterono più partecipare alla gestione della cosa pubblica. Alle nuove elezioni si fecero avanti molti volti nuovi.
Marì non rivide mai più Filippo.
(Foto dal web. Palermo di una volta, Archivio Cappellani e Collezione Ferraboschi).
Mari’ ritrova la sua libertà liberandosi da una relazione che l’aveva resa schiava del suo stesso bisogno d’amore. Corteggiata , amata e al tempo stesso sfruttata, la sua storia si svolge parallelamente a quella della sua città; Palermo.
Nel tempo sospeso dell’immaginazione, Mari’ ci invita a riflettere sulle nostre capacità, come uomini e come società, di imparare dagli errori del nostro passato. La nostra giovane protagonista trova infine il coraggio per cambiare la sua storia, chissà come noi riusciremo a scrivere la nostra e se avremo la capacità ed il coraggio per cambiarne il corso.
Maurizio
Come hai ben colto, Maurizio, i racconti ucronici sono storie che si sviluppano tra realtà e fantasia. Storie fantastiche e alternative, narrazioni che analizzano storicamente luoghi, persone, avvenimenti in maniera critica e ne sviluppano, ad un certo punto, un esito, un corso diverso da quello che è realmente accaduto. E’ proprio questo ciò che mi auguro per Palermo, che un giorno trovi la forza e l’orgoglio di cambiare la sua storia facendo rivivere il meglio di ciò che concretamente esiste ed abbiamo a disposizione nella nostra città e che, per una forma di visione paralizzante, non vediamo.