Le “Cosmogonie” di Frédéric Bruly Bouabré in mostra al Museo Riso
«Osservo e ciò che vedo mi affascina. E così voglio imitare». Questo è ciò che disse Frédéric Bruly Bouabré, artista ivoriano che con la mostra Frédéric Bruly Bouabré | Cosmogonie – a cura di Cristina Costanzo, con il coordinamento di Maddalena De Luca, viene presentato in una inedita mostra personale in Sicilia visitabile al Riso Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo fino al 28 maggio 2023.
Seguendo così uno degli imperativi fondanti l’istituzione museale, ossia quella di aprirsi ad un’internazionalità artistica in fieri, il Museo Riso accoglie così un corpus di opere realizzate dal 1994 al 2008 che, come dichiara la curatrice «sono rappresentative della sua ricerca affidata ai topoi ricorrenti, come il sole, le bandiere e le leggende, che contraddistinguono il suo originalissimo immaginario».
Un percorso espositivo ospitato negli spazi della Foresteria e volto a indagare la ricerca di un artista la cui carriera, pluridecennale, ha prodotto opere universali costellate da simboli primigeni identificanti la cultura Bété e, più ampiamente, quella africana. Frédéric Bruly Bouabré infatti fin dal 1948 adoperò il medium artistico come strumento per cristallizzare la cultura Bété, in prevalenza orale, reiterandola mediante inventari figurativi che rendono ora fruibile la cultura collettiva africana, catalogandone antropologicamente iconografie caratterizzanti il suo patrimonio. Assorbendo impulsi provenienti dal mondo circostante crea così immagini caleidoscopiche atte a trasmettere con rilevanza didattica le origini, le narrazioni, le credenze e il linguaggio di un popolo ancora da scoprire, con la speranza di una loro diffusione universale se, come dichiara l’artista, «Chiunque conosca questi segni, potrebbe leggere il mio vernacolo…. Se si volesse condividerli, sia concesso il permesso e l’aiuto per insegnarli all’umanità». Una missione didattica-umanitaria quella di Frédéric Bruly Bouabré che fece convergere in due cicli imponenti, Connaissance du monde e Alphabet bété, il primo è un’opera realizzata a penna e matite colorate su supporto di cartoncini, mentre il secondo è un’abecedario ove sono raccolte le trascrizioni della lingua bété, declinata in quattrocentoquarantotto pittogrammi monosillabici. La sua arte verbo-visuale raggiunse una visibilità internazionale a seguito dell’incontro con il curatore francese André Magnin, che lo introdusse nel sistema artistico con la mostra Magiciens de la Terre (1989), avviando un flusso di interesse tale che trovò il suo naturale compimento in numerose mostre presso istituzioni internazionali, quali la Tate Modern di Londra ed il Guggenheim Museum di Bilbao, con la conseguente acquisizione di alcune sue opere da parte del Museum of Modern Art di New York, che le inserì nella collezione permanente, nonché in quella del fotografo svizzero Jean Pigozzi, divenendo dunque parte integrante della sua vastissima collezione di arte africana contemporanea. Con la mostra Frédéric Bruly Bouabré. Cosmogonie sarà dunque possibile confrontarsi con i segni e le narrazioni che dominano le sue opere, dall’apparente semplicità figurativa ma caratterizzate da una grande pregnanza semantica. Immergendosi in quel radioso simulacro che custodisce il corpus figurativo di quelle tradizioni che l’artista, come un missionario dell’umanità, ha voluto tramandare.
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