Palermitani quasi africani o africani quasi palermitani?
Spesso si pensa che il “continente nero” sia solo terra di povertà e malattie, ma invece, è un territorio troppo grande per poterlo descrivere e catalogare in poche parole, dato che è un cosmo vario e ricchissimo di popoli.
Vi racconterò del popolo etiope, in particolare di coloro che vivono ad Addis Abeba, città dove ho fatto uno stage AIESEC di due mesi.
Il popolo etiope, a parte il colore della pelle “nivura”, non è poi così diverso dai “palermitani” e penso che noi palermitani possiamo essere considerati più africani degli stessi africani per vari motivi! Il confronto che sto per fare ha solo lo scopo di parlare dell’Africa e scardinarla da alcuni stereotipi che noi stessi ci siamo costruiti nei suoi confronti.
Iniziamo dall’arrivo all’aeroporto. Una volta scesa dall’aereo, tutto è stranamente veloce: arriva subito il pullmino, supero i controlli alla dogana, prendo il bagaglio (che vedo magicamente già sul rullo), altri piccoli controlli e in 20 minuti circa, ho varcato già l’uscita di Bole Airport. 1 a 0 per l’Africa.
Il trasporto
I minibus sono gestiti da due persone: un autista e un weyala al quale viene pagato il biglietto e comunica ai passeggeri ogni fermata del piccolo autobus. Questi bus dovrebbero trasportare un max di 15 persone, ma in pratica vi salgono anche 25: un tetris vivente dove però quando fai linea, questa non viene eliminata, ma rimane lì e vieni compresso sempre più. Per capire quale minibus prendere, o impari un po’ di amarico, lingua ufficiale, oppure basta ascoltare le “vuciate” del weyala, che urla il nome dei vari luoghi. Non si parte finché il minibus non è pieno. Non importa se hai fretta, parte solo quando c’è abbastanza gente. Per scendere, ovviamente non esistono pulsanti da premere. Il nostro amato/odiato “bussolaaa”, per gli Etiopi di Addis Abeba è il loro “Waraj Ale” (che significa letteralmente “fammi scendere qui”). Pareggio, Palermo 1 – Africa 1.
E la partita prosegue in pareggio anche per quanto riguarda la guida delle macchine, mercati ed ospitalità.
La guida
Ho sempre pensato che se una persona sa guidare a Palermo, sfidando giornalmente la prima piaga della città cioè “’u ttrafficu” (Johnny Stecchino docet), sa guidare dovunque. Mi sono dovuta ricredere: il modo di guidare di certi etiopi mi ha fatto sfiorare l’infarto molte volte, dato che per le strade non ci sono solo pedoni ma anche mandrie di pecore e buoi che camminano con i lori pastori.
Spesa al mercato
Il mercato di Addis Abeba è uno dei più grandi di tutta l’Africa ed è costituito da una miriade di bancarelle all’aperto che vendono di tutto, dalla verdura ai gioielli ed animali (ancora vivi): pensate a Ballarò, la Vucciria e il Capo messi insieme, solo che la merce è disposta in modo più confuso. Occhi aperti perché nella folla qualcuno è sempre pronto a mettere gli occhi e anche le mani sulle vostre collane e borse.
Anche nell’ospitalità gli etiopi dimostrano di essere un po’ palermitani. Quante volte sono stata invitata a pranzi o a bere il caffè con vicini di casa (compreso il loro parentado, zii e nonni) semplicemente per il loro interesse a conoscere una ragazza “bianca” e potere conversare!
I turisti vengono accolti col sorriso, tutti ti chiedono da dove vieni e vogliono parlare. E se chiedi indicazioni in inglese, sanno tutti rispondere! Anziani, bambini: lì tutti parlano inglese.
Per i piatti tipici, beh, ovviamente non ci sono né arancine né cannoli (e non avete idea di quanto mi siano mancati) ma c’è l’injera: piatto base preparato con la farina del cereale teff che può essere condito con carne o spezie varie. La particolarità di questo piatto è che viene mangiato con le mani, senza usare né coltelli né forchette. Vi assicuro che mangiare con le mani è una delle sensazioni più belle e libere che abbia mai provato.
Infine il popolo etiope, è erede di una storia millenaria e di una cultura che ereditata ne fa una perla multietnica unica, così come la nostra Sicilia.
La partita è arrivata ai rigori. L’Africa può ancora segnare in porta?
E ce l’hanno la mafia?
@Angelo: Dove non c’è mafia trovi corruzione o altre forme di criminalità più o meno gravi. Ma, a parte questo, non è che perché uno parla di Palermo comparato ad un altro paese deve essere scontato che parli anche di mafia.
Complimenti per il post, Francesca, e soprattutto per questa bella esperienza.
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Quindi non siamo poi così diversi, eccetto il fatto che come dici loro sono più istruiti e in grado di comunicare con il resto del mondo parlando in inglese, Palermo -1 Africa +1
@ Alemisia
Facendo un confronto, mi pare logico parlare di un elemento così importante della nostra (e chissà forse anche di quella etiope) vita quotidiana (pizzo, ecc.).
A meno di non volerne negare l’esistenza come negli anni ’70 del secolo scorso.
I palermitani siamo simili agli Africani con la pelle “inside-out”. Bianchi fuori, neri dentro.
@Angelo: Il post fa un confronto molto semplice tra due realtà simili e al contempo differenti, soffermandosi su pregi e “piccoli” difetti e non su problematiche sociali rilevanti.
Non si tratta quindi di negare l’esistenza dell’elemento mafia, ci mancherebbe altro. Quello che intendevo è che, probabilmente, vista la leggerezza del post, parlarne risulterebbe un po’ fuoriluogo.
Bel post, mi ha fatto viaggiare fra immagini vivide 🙂