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domenica 24 nov
  • Non solo il 19 luglio

    Oggi non è il 19 luglio. Oggi non si “deve” commemorare nessuno. Oggi è il 23 giugno ed io voglio parlare del giudice Paolo Borsellino. Ho bisogno di parlare del giudice Paolo Borsellino. Infatti esattamente 20 anni fa, ad un mese dall’assassinio di Giovanni Falcone, il giudice Paolo Borsellino si recava ad un incontro organizzato nella chiesa di Santa Luisa di Marillac, la sua parrocchia, per dare testimonianza e mantenere vivo il ricordo e il lavoro del suo amico e collega magistrato.

    Vorrei chiudere gli occhi e ritrovarmi lì dove non sono mai stata, in quella chiesa gremita di gente la sera del 23 giugno 1992, quando il giudice Paolo Borsellino era ancora vivo, in mezzo a noi. Vorrei che mio padre mi ci avesse portato quella sera, in quella chiesa, anche se ero solo una teen ager. Avrei potuto sentire la sua voce dal vivo, essere parte di quella folla che si alzò ad applaudirlo per diversi minuti, e avrei potuto vederlo parlare a tutte le persone presenti con la sua classica cadenza palermitana, dicendo cose che vale la pena ripetere e ricordare sempre e che sono diventate parte del suo testamento spirituale:

    «Occorre dare un senso alla morte di Giovanni, alla morte della dolcissima Francesca, alla morte dei valorosi uomini della sua scorta. Sono morti per tutti noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera; facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici».

    Ma come avrei potuto essere là? Avevo solo 16 anni a quel tempo e come qualsiasi normale teen ager pensavo alla scuola, agli amici e ad uscire il sabato sera. Ero stata poche settimane prima al funerale di Giovanni Falcone, un’esperienza che non si può dimenticare, ma io quest’altro giudice ad essere sincera non lo conoscevo. Forse avevo sentito il suo nome distrattamente, forse avrei dovuto informarmi di più, ma alla lettura dei quotidiani preferivo le canzoni di Michael Jackson e le passeggiate in centro. Quando poi il 19 luglio arrivò, fui inevitabilmente “costretta” a conoscerlo, ed ero consapevole che qualcosa di terribile era successo alla mia città e al mio paese, anche se lì per lì non mi resi conto del vuoto che quella persona stava lasciando… ANCHE dentro di me. Perché non avevo avuto di lui una conoscenza diretta.

    Gli anni sono passati e quello che è il passato non si può certo cambiare, però si può sempre fare qualcosa per il presente. Mi sono resa conto che se volevo davvero “incontrare” il giudice Paolo Borsellino avrei comunque potuto farlo anche dopo la sua morte, solo in un modo diverso. Dipendeva soltanto da me.
    E così ho fatto. Ho cominciato a cercarlo, a conoscerlo meglio, a scoprire quale persona ci fosse dietro il nome dato al nostro aeroporto, dietro l’etichetta di “giudice vittima della mafia”. Perché se nel tuo piccolo cerchi indegnamente di essere una sua “figlia spirituale” o ti impegni a fare memoria, raccontando ai tuoi figli, nipoti amici o conoscenti, chi era Paolo Borsellino, proprio come accade quando una persona cara se ne va troppo presto, devi sapere cosa dire.

    E sono rimasta stupita e affascinata nell’apprendere che tifava Inter, che gli piaceva andare in bicicletta, che scherzava in modo ironico sulla morte, che era un uomo dalla fede profonda e credeva nella sacralità della vita, che si prodigava per gli altri con amore nonostante fosse sempre oberato di lavoro, che tutti quelli che l’anno conosciuto personalmente ne hanno sottolineato l’immensa umanità e la profonda coerenza di vita, fino al sacrificio. È inutile girarci intorno: è questo l’esempio da seguire, e non una volta l’anno, ma ogni giorno.

    E dunque la domanda che ultimamente mi pongo spesso è: Si può sentire la mancanza di una persona che non si è mai incontrata? O che si è conosciuta solo attraverso i racconti e le parole di coloro che gli sono stati vicini e lo hanno amato? Beh, la risposta è sì.
    Sì. Perché quando lo “incontri” il giudice Paolo Borsellino non lo puoi lasciare più. È per questo che voglio parlare di lui oggi che non è il 19 luglio, perché non si può relegare il suo ricordo ad un giorno dell’anno, in cui, magari in buona fede, finiamo col sentire distrattamente un telegiornale che ci ricorda della strage di via D’Amelio insieme ad un qualche commento inopportuno del politico di turno che esorta lo stato a fare di più per combattere la criminalità organizzata.

    Non importa quanti anni passeranno dalla sua morte, 20, 30, 40, 100, è fondamentale non smettere mai di fare memoria, nè di documentarsi su chi era e cosa ha fatto il giudice Paolo Borsellino nei 52 anni che precedono quel 19 luglio 1992, perché ciò che è accaduto quella domenica lo sanno tutti, persino le pietre, ma ciò che veramente ci avvicinerà a lui, è sapere ciò che ha fatto prima e come ha vissuto tutta la sua vita. Quindi dobbiamo ricordarlo sempre, NON perché è un nostro dovere in quanto abitanti di questa città e suoi concittadini (anche se lo è), ma soprattutto perché è questo quello che fanno i veri figli quando perdono una persona cara.

    Ospiti
  • 5 commenti a “Non solo il 19 luglio”

    1. Il suo post è molto bello: dimostra che quelle morti hanno ancora oggi un senso.

    2. E’ stato detto e scritto tanto su Paolo Borselino ma questo post è davvero bello…

    3. Questo post è talmente “vero” che inevitabilmente riporta la memoria indietro a quei giorni del 1992: io, forse per le personali inclinazioni che dopo qualche anno mi avrebbero portato ad iscrivermi alla facoltà di Giurisprudenza, conoscevo il lavoro dei giudici Falcone e Borsellino; come tutti rimasi sconvolto dall’attentato del 23 maggio, partecipai anche io ai funerali accorrendo a Piazza San Domenico e ricordo ancora la rabbia che provai il 19 luglio quando appresi la notizia dell’attentato di via D’Amelio: sbattei il pugno sul tavolo e gridai “non è possibile!”. Poi, come l’autrice del post, ho conosciuto nel tempo anche l’uomo, l’amico, il cittadino, il figlio, il marito, il padre Paolo Borsellino: e ne ho ricavato un grande esempio di eroicità nella normalità, nel quotidiano rapportarsi al proprio lavoro e alle persone, familiari e non, che ha incontrato nella sua vita. Ricordarlo in un giorno qualunque ha il sapore del lasciare la luce accesa per non lasciare nel buio chi rincasa, e per scoraggiare i ladri dando l’impressione che la casa non sia mai vuota. Bellissimo post!

    4. Grazie per questo splendido post.

    5. Bellissimo post.Negli anni mi sono affezionata alla figura di questo giudice e leggendo mi viene tanta voglia di approfondire.Grazie della bellisima testimonianza.

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