Racconti ucronici, cronache di una Palermo possibile: il “Festival POP 70”
Raffaele finì di spazzolare la sua lunga chioma, indossò la camicia a rombi colorati e i pantaloni attillati color ruggine, prese il suo borsello di cuoio, dove custodiva tutto l’indispensabile per la sua vita libera e versatile, e uscì di corsa, saltellando giù per le scale dal terzo e ultimo piano del palazzo dove abitava. I suoi abiti sapevano di armadio in legno, di cassetti foderati di carta, di sapone da bucato, di terra. La sua era una vecchia casa in un quartiere popolare, con pochi mobili antichi, racimolati in giro, molti spazi vuoti, vestiti e scarpe buttati qua e là, ma aveva l’essenziale per essere vivibile. Quella sera doveva recarsi al consueto appuntamento con i suoi amici al bar, in via Maqueda. Aveva appena cenato con una bistecca, un’insalata e un bel pezzo di pane e il suo piede era veloce sulla strada che da via Danisinni attraversava il centro della città fino al luogo dell’appuntamento. Ogni sera si vedevano lì, per parlare del futuro, del lavoro, delle ragazze, della politica.
Era iscritto all’Università di Palermo, facoltà di Medicina, dove lo si incontrava spesso alle lezioni. Al pomeriggio faceva finta di aiutare Peppino Cilluffo a sistemare il magazzino del negozio di alimentari dietro casa sua, e qualche rara volta si occupava anche delle consegne, così racimolava pochissimi quattrini per mantenersi. Ma soprattutto i soldi per vivere li forniva la mamma, vedova, che aveva occhi solo per quel figlio, e per lui risparmiava molto. In alcuni casi era stata costretta a vendere, di quando in quando, le proprietà che aveva al suo paese, pur di mantenerlo agli studi. Ci teneva molto che il figlio maschio fosse un “laureato”. E lui se ne approfittava bellamente.
Raffaele amava la vita spensierata, le femmine, le uscite con gli amici, la goliardia universitaria, la musica ed il ballo. Ed anche lo studio della medicina, sì. Quello era il corso di laurea che aveva scelto e lo seguiva con passione.
Quando arrivò al luogo dell’appuntamento trovò gli amici alle prese con una discussione animata, il cui argomento divenne chiaro solo dopo alcuni minuti: sentì frasi monche, parole sconnesse, uno “spettacolo”, “cantanti famosi”, “organizzazione”, e quindi a che ora andare, cosa portare… etc. Dopo poco capì che stavano parlando della prima edizione di uno spettacolo musicale, il Festival POP 70. Il biglietto costava parecchio per un giovane squattrinato come lui, ossia milleduecento lire per ogni serata, e Raffaele non le aveva. Ma voleva andarci.
I cantanti che avrebbero partecipato erano superlativi, un sogno per Palermo. Un festival di tre giorni, che iniziava di pomeriggio e si dilungava fino a sera, simile ai concerti dell’Isola di White, o come una seconda Woodstock, ma a Palermo! Raffaele e i suoi amici stentavano a credere che realmente avrebbero visto Aretha Franklin, Duke Ellington, Sal Genovese, Enzo Randisi, i Led Zeppelin, i Rolling Stones, i Pink Floyd, Johnny Hallyday, Little Tony, Rosa Balistreri, Giusy Romeo (poi diventata Giuni Russo), i Ricchi e Poveri e tantissimi altri cantanti e gruppi famosi…
Gli amici erano quindi decisi ad andare al concerto e Raffaele adesso aveva un problema: trovare i soldi.
Il Festival Palermo POP 70 era stato organizzato da Joe Napoli, un effervescente italo americano famoso negli ambienti musicali internazionali jazz, pop e rock del momento, la cui famiglia, siciliana, era originaria di San Giuseppe Jato.
Mischiava il suo carattere disponibile e caloroso di matrice sicula con i modi dell’imprenditore americano avvezzo a relazioni internazionali e il mix gli conferiva un ineffabile fascino. Trasformava i nomi ed i cognomi dei suoi amici e conoscenti traducendoli in inglese: uno stratagemma che gli consentiva sicuramente di essere compreso solo da pochi, mentre parlava. Ciò era sorprendentemente divertente per tutti quelli che gli stavano intorno, soprattutto coloro con cui collaborava, che lui conquistava e ipnotizzava con i suoi modi coinvolgenti e le sue proposte ardite. Così ad esempio Paolo Bevilacqua (il presidente della Azienda Autonoma del Turismo) diventava Paul Drinkwater, Riccardo Agnello era Richard Lamb, Sergio Buonadonna si trasformava in Goodwoman, e via discorrendo…
Joe Napoli era un produttore e un impresario, nonché il manager di Chet Baker e di numerosi cantanti, aveva organizzato il Festival jazz di Comblain-La-Tour, aveva decine e decine di contatti tra i più noti artisti internazionali e adorava la Sicilia e soprattutto Palermo. Dopo essere stato a Woodstock e nell’isola di White, insieme a Silvana Paladino ed altri rappresentanti della “Palermo bene” si tuffò nella ambiziosissima iniziativa di portare a Palermo i grandi della Musica Pop, Folk, Jazz, Rock del momento. Trovò collaborazione e supporto dalla Azienda Autonoma del Turismo ma anche alcune prime piccole difficoltà burocratiche, che furono risolte tuttavia senza troppe difficoltà, e gli entusiasmi iniziali in favore del Festival furono robusti abbastanza da consentirgli di trovare finanziatori pubblici e sponsor privati.
Il Festival POP 70 sarebbe durato dunque tre giorni, dal 16 al 18 luglio del 1970.
Raffaele tornò a casa quella notte cercando un’idea per racimolare i soldi necessari per partecipare, insieme ai suoi amici e alla ragazza, Nina, con cui era “ingrizzato” in quel momento. Non poteva chiederli di sicuro alla mamma, che per queste attività non apriva di certo la sua borsa, e nemmeno poteva inventarsi necessità di libri o testi di studio, ché questa scusa l’aveva appena utilizzata. Era abbondantemente inflazionata.
Dopo due giorni però ebbe un’idea e andò improvvisamente a fare una visita a casa di sua sorella, insegnante, che faceva salti mortali con il suo stipendio e quello del marito, per mantenere la sua famiglia in crescita.
Le sue improvvisate erano sempre apparentemente immotivate ed era sempre una festa per lei quando si incontravano, poiché amava suo fratello di un amore sincero e onesto. Raffaele aveva il fascino del ragazzo scanzonato, un po’ malizioso, bisognoso di affetto, conscio delle sue capacità seduttive, che usava un po’ con tutti, ormai istintivamente. Fu invitato a fermarsi a pranzo e accettò, contento di mangiare in allegria con il cognato e le sue piccole nipotine. Mentre tutti erano a tavola, si alzò per andare in bagno, passò dalla saletta di ingresso dove, su una sedia, era appoggiata la borsetta di sua sorella, la aprì, prese il borsellino e mise in tasca le diecimila lire che vi trovò. Con assoluta noncuranza si affrettò a tornare a tavola e dopo il caffè andò via rapidamente da vero studente modello, con la scusa di dover tornare subito tra i libri.
A dieci giorni dal grande evento finalmente Raffaele andò ad acquistare i suoi biglietti, e vi andò insieme agli ultimi ritardatari del suo gruppo. Alla biglietteria si imbatterono proprio in Joe Napoli in compagnia del gruppo organizzativo. Joe parlava animatamente del forfait dato dai Pink Floyd e dai Rolling Stones e della sua delusione: entrambi i due complessi avevano chiesto un anticipo consistente sul loro cachet e in cassa non c’erano ancora i soldi. Incrociando i giovani accalcati per acquistare gli ultimi biglietti, e soprattutto i loro occhi, Joe Napoli lesse l’incertezza e la delusione paventata da quei giovani, che erano il suo pubblico. Sul loro viso aveva letto la domanda: e se anche gli altri cantanti si fossero ritirati dalla kermesse?
Quando in Sicilia appare all’orizzonte una grande iniziativa, soprattutto nell’ultimo secolo, accade spesso che la stessa incontri nel proprio percorso un ostacolo, un elemento, una persona o un gruppo che si frappone tra la realizzazione di un sogno grandioso da un lato ed il suo ridimensionamento mediocre, se non scadente, dall’altro. Uno scenario sovente ripetuto, che ha minato nel profondo, l’entusiasmo pionieristico e la creatività isolana. E, ovviamente, la fiducia della popolazione.
Queste insicurezze trovarono nella mente di Joe Napoli un’attenzione sensibile, spingendolo a riflettere. Il suo Festival non avrebbe dovuto camminare sulle sabbie mobili. Lui desiderava fortemente che la sua creatura diventasse un appuntamento fisso, una certezza, un caposaldo delle manifestazioni siciliane a livello internazionale. E, con una punta di orgoglio, voleva anche che lui stesso fosse ricordato, per molti anni, come il padre del Festival POP di Palermo.
Arrivò infine il giorno prefissato e il Festival POP 70 fu un grande successo. Nessun altro gruppo o cantante si tirò indietro dalla kermesse e per tre giorni allo Stadio La Favorita di Palermo si esibirono tantissimi musicisti, dal pomeriggio fino a notte inoltrata, per circa 7/8 ore di musica al giorno. Non mancarono i colpi di scena, come Arthur Brown che si esibì in uno spogliarello e fu arrestato, tra le proteste dei giovani più avanguardisti e la approvazione dei ragazzi più conformisti, ed altri simili disordini che movimentarono l’avvenimento. Il comportamento degli spettatori fu molto disinvolto: seduti sul prato dello Stadio misero in pratica i principi del libero amore, mentre alcuni si abbandonarono all’uso di sostanze ritenute ausiliarie all’ascolto della musica. I più audaci misero in comune oggetti, ma anche persone, liberandosi dagli egoismi e da ciò che ritenevano fossero pregiudizi e limitazioni abnormi appartenuti alla generazione precedente, tra lo scandalo della borghesia e la riprovazione delle Forze dell’Ordine, che cercò in tutti i modi di contenere l’onda entusiastica e innovativa che aveva pervaso la gioventù dell’epoca.
Raffaele fu un partecipante entusiasta. Si buttò a capofitto nella sua attività ricreativa preferite: le femmine. Alla fine del Festival aveva iniziato una nuova relazione e ottenuto due o tre contatti alternativi. Un buon bottino.
La mamma fu felice quando lui le annunciò che la sua precedente fidanzata, Nina, era stata soppiantata da Claire. Lei non conosceva Claire, ma Nina aveva troppo carattere per lei. Suo figlio oltre tutto le era sembrato molto innamorato di Nina e lei temeva che lo distogliesse dagli studi. E infine Raffaele era giovane, aveva ancora tanto tempo davanti a sé! Quando conobbe Claire, alcuni giorni dopo, capì che il cambiamento non sempre prende strade fruttuose. Non ai suoi occhi, almeno. La nuova fidanzata era bella sì, ma molto “moderna”, portava delle minigonne molto corte, si dichiarava una donna “libera” e, sotto la facciata angelica e di brava ragazza, probabilmente celava un bel caratterino. Frequentava gruppi collettivi di azione ed era attiva nei movimenti di occupazione dell’università.
La mamma di Raffaele era terribilmente contrariata ma non lo diede a vedere. Escogitò in quella occasione una strategia (utile, da usare più e più volte nell’avvenire) di logorio sui due fronti: su suo figlio, cui non mancava di evidenziare sempre le manchevolezze della ragazza, e su Claire, mettendola sempre a disagio ogni volta che la incontrava e provocandone ogni sorta di reazione negativa, in un sottile gioco manipolativo, irrazionale ma efficace, che raggiungeva lo scopo di metterli l’uno contro l’altro. Dopo alcuni mesi Raffaele la lasciò, convinto di non esserne più innamorato e soprattutto convinto di aver agito in piena libertà di giudizio.
Joe Napoli era davvero felice per il successo della sua creatura e nelle prime settimane raccolse i complimenti dei partecipanti, chiuse i conti con fornitori e tecnici, ascoltò i commenti, le lamentele, i suggerimenti e i pettegolezzi che girarono intorno all’avvenimento.
Un’idea tuttavia si faceva strada con forza via via crescente nella sua mente: doveva rendere indipendente il Festival dalle pressioni e dall’arbitrio dei finanziatori pubblici. Per realizzare il suo sogno più bello, per farlo davvero vivere a lungo, Joe ebbe bisogno di tutto il suo coraggio e della sua competenza professionale e non volle trascurare nulla.
Se tuttavia avesse lasciato il Festival al suo destino, facilmente sarebbe stato preda dei tentacoli paralizzanti, cavillosi e formalistici, del carrozzone amministrativo della città. Districarsi tra chi favoriva lo stallo perché impaurito dalle novità e chi aveva interesse, per una variegata sequela di motivazioni, a mantenere lo status quo, era davvero difficile per lui e gli procurava l’orticaria. Se Joe Napoli non avesse compiuto un salto nel futuro ispirato da una energia quasi metafisica, probabilmente si sarebbero realizzati solo i Festival POP 71 e POP 72, con un percorso che repentinamente li avrebbe condotti alla chiusura definitiva. Una coincidenza di omissioni, mutamenti di sede, capricciosità del destino e degli attori in campo ne avrebbe decretato la fine, in un modo che sarebbe apparso naturale all’osservatore distratto.
Joe al contrario seguì i segnali di una increspatura magnetica, una polarizzazione energetica alternativa che gli consentì di mutare gli eventi. Cominciò quindi a tessere una fitta trama di contatti internazionali in Africa, Russia, Cina, America, America latina, India etc. e li convinse ad unirsi tutti in una Fondazione, un centro Internazionale delle Arti Musicali, il cui evento annuale fosse proprio il Festival Pop. Le più grandi case discografiche e di organizzazione di eventi musicali aderirono alla Fondazione Festival Pop – Palermo, i biglietti venivano venduti già durante l’anno precedente, così da avere disponibile con largo anticipo la somma necessaria per finanziare l’evento annuale. E dal 1971, ogni estate fino ai nostri giorni, si replica il Festival Pop di Palermo, ormai rinomato in tutto il mondo. Negli anni si sono susseguiti artisti del calibro di Michael Jackson, gli Earth Wind and Fire, gli America, i Toto, i Queen, gli Eagles, Madonna, Sting, George Michael, i Depeche Mode, Mariah Carey, Celine Dion, Mina, Dalla, Battiato, Rosa Balistreri, Pavarotti & Friends, Andrea Bocelli, Dave Brubeck, e tantissimi altri grandi nomi della musica internazionale.
La sede definitiva per il Festival fu fissata e opportunamente progettata all’interno degli spazi della Fiera del Mediterraneo, luogo collocato in posizione facile da raggiungere e sufficientemente versatile da potervi ricavare un grande spazio aperto per il pubblico, un palcoscenico sempre mutevole che permettesse l’adeguamento a tecnologie di anno in anno sempre migliori, e adatto anche a consentire, all’esterno dei suoi confini, la costruzione di un ampio parcheggio. Ogni anno la manifestazione registrava il tutto esaurito, con ampia soddisfazione di albergatori, ristoranti e fornitori di servizi, guide turistiche, aziende di taxi, noleggio barche, tecnici, manovali etc.etc.
La città tutta, e quindi anche il comparto amministrativo, ne ricavò sempre utili tali da collocarla in classifica tra le prime mete turistiche ambite per qualità della vita, alto livello dei servizi, delle strade, dell’offerta culturale, del cibo insieme, ovviamente, al clima.
Raffaele, alla fine del luglio 1970 iniziò le sue vacanze estive, che trascorse tra la città e il suo paese di origine. Al suo ritorno in città per l’inizio dell’anno accademico, carico di provviste dal paese come formaggi, conserve, verdure ed, in una tasca cucita, l’anticipo dell’affitto per i successivi due mesi, trovò una busta stropicciata tra la spazzatura davanti al portone di ingresso. Era indirizzata a lui ed era sporchissima. La vide solo per un caso davvero straordinario: un bottone della sua giacca si era staccato ed era caduto proprio lì, sul plico.
Fu un istante in cui il destino giocò una carta jolly, come accade in diversi momenti della nostra vita, quando improvvisamente vediamo il mondo con gli occhi dell’anima e non solo quelli del corpo. In quel momento, un solo attimo di disattenzione avrebbe cambiato il corso degli eventi in modo drastico. Ma lui fu diligente.
Era una lettera che gli offriva una borsa di studio a Londra!
L’offerta era allettante e gli avrebbe dato l’opportunità di una preparazione di alto livello. Ma lui tentennava. La vita a Palermo sarebbe stata gradevolmente più comoda, a Londra non conosceva nessuno e neanche la lingua inglese era il suo forte. Dopo una riflessione di alcuni giorni, dibattuto tra l’indolenza e l’amor proprio, stava per risolversi verso il rifiuto quando sua madre piombò in casa sua, scura come una tempesta, promettendogli e tuonando maledizioni e sfortuna se fosse partito, se l’avesse lasciata in Sicilia, sola, senza la sua presenza costante e le sue cure filiali.
Fu proprio la violenza dell’imposizione, la prevaricazione, la promessa dei malefici materni a dargli il coraggio della decisione definitiva. Dopo una settimana era già a Londra, alle prese con gli studi di specializzazione che sarebbero durati uno o due anni, la nuova lingua da imparare, un lavoro vero da trovare. Aveva abbandonato l’appartamento a Palermo all’improvviso, e utilizzato le due mensilità anticipate dalla mamma per pagarsi il viaggio e i primi giorni di permanenza nella metropoli. Aveva davanti un futuro completamente nuovo, lontano dalle blandizie materne, e, finalmente, una carriera di distruttore seriale di rapporti sentimentali da abbandonare. Per sempre.
Per i piu’ grandicelli, il festival pop 70 e’ stato un evento memorabile. Per noi, per Palermo, come sempre, un’occasione mancata. Grazie Angela. Un bellissimo racconto che, almeno in sogno, mi ha fatto rivivere i fermenti dei favolosi anni 70
Narrazione ad ampio respiro come accade quando ci si concede di attingere a quell’inesauribile fonte costituita dal proprio immaginario. Possibili infinite variazioni sul tema, uno “sliding doors” pluridimensionale, e pennellate d’autore. Un plauso particolare per la pennellata sulla Fiera nostrana, sogno fallito di imponente, feconda, matrona ridotta ad insignificante figura, trasparente, sfibrata, sterile, demineralizzata dalle zampate delle piccole folle dei piccoli padroni della piccola cultura.
Per Palermo e i Palermitani il Pop70 é stato credo l’evento più importante dal 1900 ad oggi, battendo anche i Mondiali di calcio del 1990. Purtroppo a Palermo non si riesce mai a organizzare una manifestazione di qualsiasi tipo, fatta bene, organizzata bene e ci limitiamo sempre alle solite squallide fiere dei morti o di Natale o addirittura abbiamo creato un inesistente “pala Giotto” in un posteggio.