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lunedì 23 dic
  • La fu caffettiera

    Ogni ufficio ha la sua caffettiera, anzi no, ogni piano ha la sua caffettiera, meglio ogni gruppo che si rispetti, ogni cerchia di colleghi. Non so come sia cominciato il rito, forse qualche secolo fa, ma ogni mattina chi arrivava prima in ufficio aveva il compito di preparare la caffettiera sei tazze e metterla sul fornello elettrico.
    Pian pianino nell’archivio, nel bagno per disabili, attorno all’armadio incassato nel muro si formava un capanello di estimatori. Ognuno raccontava la sua: mia madre ieri sera…., mio figlio…., sai cosa è successo ieri al terzo piano…., la tizia oggi è più bona del solito. In quei dieci minuti la giornata cominciata triste, veloce ed affannata, ricominciava a prendere un ritmo umano, normale goliardico, e poi succedeva un miracolo tutte le razze presenti in ufficio: dirigenti, funzionari, istruttori, asu di seria A e B, dimenticavano i ruoli e riuscivano a parlarsi serenamente come uomini liberi dagli schemi. “Sono arrivato tardi”, esordiva un altro pretendente alla tazza, ed il capo cerimoniale di turno: “non ti preoccupare ce lo dividiamo (nu spartemu)”. La tazza di caffè condivisa secondo me permette fino in fondo di entrare in una profonda intimità di pensiero.

    Ma un giorno fatale si presentò un tizio, uno vestito come il becchino delle caffettiere, aveva un tuta con su scritto: forniture di macchine per il caffè espresso e cialde. Molti colleghi rimasero entusiasti. Tutti volevano acquistare le cialde, da qual giorno sarebbero diventati autosufficienti non avrebbero chiesto più il caffè a nessuno, non avrebbero partecipato alle collette mensili per l’acquisto del caffè della torrefazione vicina e dei biscottini. Ma immediatamente si pose un problema: la macchina espressa a cialde dove la mettiamo? Subito cominciò un referendum, non si poteva mettere nel bagno dei disabili, ne tanto meno dentro l’armadio incassato, ne nell’archivio, dove il carico di carta superava i 50 quintali, limite che impone precise norme antincendio che necessitano il benestare dei vigili del fuoco. Qualcuno propose la portineria, ma il portiere alzo subito le barricate. Sarebbe stato il posto ideale perché chiunque entrando in ufficio avrebbe avuto almeno un buon motivo per rimanerci. Subito dopo fu proposto al primo piano il salone delle conferenze, ma qualcuno fece notare che quel luogo di rappresentanza si sarebbe trasformato in un bar. Si propose il corridoio del secondo piano, ma la cosa intralciava i colleghi che si recavano al terzo piano. Così alla fine si decise di mettere la macchinetta accanto ai bagni del terzo piano in un luogo solitario ed oscuro che non permetteva nessun tipo di dialogo.
    Da quel giorno la tavola rotonda degli estimatori dell’espresso si sciolse, si formarono gruppi e fazioni, pochi avevano ancora voglia di cominciare la giornata con due chiacchiere, in apparenza inutili, ed i visi divennero tristi e ostili.

    I gran cerimoniali più anziani decisero di riporre la caffettiera sei tazze nella sua scatola, il fornello elettrico segui la stessa sorte, così pure il banchetto fu rimosso e per incanto scomparirono: zuccheriera, scatole dei biscottini e bicchierini.

    E dire che c’è qualcuno che è ancora convinto che la tecnologia ci aiuta sempre.

    Ospiti
  • 7 commenti a “La fu caffettiera”

    1. …referendum per il welfare coffee break…motivi seri.

    2. Ottima cronaca della scomparsa di un rito essenziale. Ti offro (virtualmente) un caffè.

    3. E poi, volete mettere, il profumo del caffè che esce dalla sana vecchia caffettiera? Un’altra storia…

    4. Sarà…ma io trovo queste macchinette moderne molto più simpatiche e soprattutto igieniche.
      E poi non è vero che uccidono i rapporti sociali: mai visto “Camera Cafè” su Italia 1? 🙂

    5. Per fortuna nel mio ufficio abbiamo deciso di rinnegare la tecnologia che avanza e dopo meno di un mese abbiamo richiamato l’omino delle cialde per farci liberare da quell’orrendo marchingegno; da quel giorno siamo ritornati alla cara vecchia caffettiera, comprese le chiaccherate tutti insieme dell’attesa che “esca” il caffè …

    6. convertitami alla macchinetta del caffè per motivi di tempo (leggasi pure “lagnusia cronica”) annuso puntualmente con rimpianto l’odore del caffè che esce dalla caffettiera dei vicini e riesce a pentrare fino a casa mia… sigh! io sono “all’antica” malgrado me medesima!

    7. amunì, un ci fù niente: pigghiamuci u cafè picciotti!!

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