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lunedì 25 nov
  • Sdegnu di Sicilia

    I Sud del mondo, forse, non saranno tutti uguali, ma si assomigliano parecchio. Domenica sera, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, c’era un’ottima rappresentanza internazionale di “terruna”: dalla Sicilia a Napoli, dal Brasile al Venezuela, dal Sud Africa all’Andalusia. A dirigere il colore di noi meridionali international è stata una maestra d’eccezione: Gal Costa, diva della canzone brasiliana. L’interprete, classe “anta degli anta ma non li dimostro affatto”, si è esibita accompagnata solo dal “Violao”, la chitarra classica, per l’occasione suonata dal bravo Luis Meira. Sono state due ore di voce e di note, indubbiamente noiose se, ad eseguirle, fosse stata un’interprete qualsiasi. C’è stato tanto del nostro Sud tra le atmosfere di Gal Costa – che nello stile e nella volitività ricorda, neanche troppo alla lontana, la nostra infinta Rosa Balistreri (che a lei siano dedicate le migliori note del Paradiso). In Auditorium c’eravamo una buona delegazione di “siculi doc”, da Trapani a Ragusa, passando per i palermitani del Capo, come il mio collega Fofò, che a un certo punto ha commentato: “Azzz, Mariste’, pare di ascoltare un canzoniere siciliano”.
    Non sono convinta che esista un canzoniere siciliano, nella misura in cui nessuno si è preso debita cura, nel tempo che è andato, di mettere in uno scrigno adeguato i suoni e la musicalità della nostra Isola. C’è stato un tema che Gal Costa ha filtrato nell’anima di tutti i suoi ascoltatori: la saudage. In siciliano, questa parola, potrebbe essere tradotta con il termine “sdegnu”, quella sorta di nodo in gola indefinito, che vive tra le pieghe della nostra terra. Il Brasile e la Sicilia hanno in comune una dittatura ferrea, tante volte dichiarata, nel primo caso, sussurrata nel secondo. A volte, la Sicilia, vista da lontano, mi dà l’impressione di una splendida donna – troppe volte ingannata dai peggiori tra gli uomini – che non ha più la forza di innamorarsi.
    Quando rifletto su quello che voglio dal mio domani, uno dei desideri più grandi è di poter tornare per rimanere. In questo esilio, talvolta forzato, cerco di guardarmi in giro e di trovare quanta più Sicilia possibile. Succede, come domenica, che la mia terra mi rimbalzi davanti agli occhi quando meno me lo aspetto. È in momenti come questo che mi convinco di quanto sconfinato sia il potere di noi uomini e donne del Sud, dannatamente attaccati alla “terra dove finisce la terra”. A fine spettacolo, domenica, i terroni siciliani ci siamo alzati in piedi e un po’ timidamente, tra i tanti applausi che non erano per noi, abbiamo accennato un “Ciuri ciuri” che aveva tutto il sapore del nostro voler ritornare.

    Ospiti
  • 13 commenti a “Sdegnu di Sicilia”

    1. Invece non devi tornare, se posso permettermi. Capisco la trasfigurazione nostalgica ed è normale che sia così. Ma non devi tornare.

    2. forse hai ragione tu, Roberto, ma credimi a volte le lacrime scendono giù insieme al ricordo delle infnite cose lasciate lì

    3. Il “mal di Sicilia” come il “mal d’Africa”. Ogni volta che lo sconforto m’assale penso di andar via per non tornare più, poi una volta andata via, non vedo l’ora di tornare. Forse, per chi soffre di “mal di Sicilia”, l’unica cura è tornare e vivere il tempo, su quest’isola ns. madre, come se fosse l’ultimo giorno.

    4. Lascialo perdere.

      Torna figlia di questa terra.

    5. Il sapore della nostra terra non lo potremo perdere mai, e benchè i nostri sogni, la nostra voglia di successo, o piu semplicemente di combinare qualcosa nella vita ci porta lontano, la nostra testa (perche non di solo cuore si tratta) ci riporta li. E capita di sognare di tornare a realizzare qualcosa che seppur piccolo avrebbe la dimensione dell’universo.
      Andare partire tornare andare partire tornare infine (sogno!?)

    6. Bellissima la metafora della donna…

    7. ma non era la SAUDADE?

    8. Ciao Maristella , hai scritto quella bella metafora sulla s
      Sicilia che fosse come una Donna e non solo io ti faccio i complimenti ….

      ormai il “mal di sicilia” ha preso anche me e ci vivo da tanti anni

    9. Molti lettori criticamente troveranno questo scritto presuntuoso e prepotente perché enfatizzala Sicilia, ma soprattutto dà valore a quell’essere siciliano, quel male oscuro che esagera luoghi e personaggi, che crea un mondo e nello stesso tempo lo isola dagli altri.

      “… I giovani cercano di imitare, i vecchi non sanno che ripetere… Perchè cambiare? Stiamo così bene…”.

      Quando una società diviene troppo intelligente in rapporto alle sue strutture politiche bisogna saper proporre qualcosa di nuovo. E noi abbiamo proposto qualcosa di nuovo: la partenza.

      Apparteniamo a queIla schiera numerosa, purtroppo, di siciliani che sono dovuti partire, che hanno dovuto ” spaesarsi ” letteralmente per trovare quello che cercavano, chi un lavoro, chi semplicemente un’altra dimensione, un’identità nascosta. Per questo spesso apriamo il nostro animo alla nostalgia come qualcosa che possiamo rinnegare ad ogni momento ma che ci culIiamo dentro come lieve fastidio che poi non fà così male….

      Molti hanno trovato un lavoro, sono riusciti a costruirsi – con mille sacrifici – quella casa che nell’immaginario collettivo ha sempre significato il luogo sicuro, la “rrobba”, la sicurezza e il riparo al rovescio degli eventi. Uno “scendere e salire le altrui scale” che se ha portato al possesso di una casa, ne ha stravolto il significato, gli ha dato uno strano sapore per il semplice fatto che non poteva sorgere dove avrebbero voluto ma dove il destino aveva invece stabilito che dovessero vivere.

      Lontano dal sole e da quell’aria salmastra che puoi sentire persino nei paesi dell’ entroterra, lontano dalle brezze dei mari che circondano l’isola, lontano dai sapori delle stagioni, ma soprattutto lontana dai genitori, dai fratelli, dagli amici, sempre più distanti, sempre meno numerosi.

      E hanno pagato un grosso pegno abbandonando il paese in cui avevano imparato le regole elementari della vita, i suoni, i colori ed i sapori. Hanno però curato quel lieve fastidio, la nostalgia. E lo hanno alimentato con frequenti ritorni e altrettanto frequenti partenze che hanno ripreso quel filo di emozioni rimasto a mezz’aria. Sono rimasti però ignorati, i loro sacrifici non sono stati più riconosciuti nemmeno nella loro stessa famiglia.

      Hanno cancellato, il giorno stesso della loro partenza, e con la loro partenza, la parola assistenza, la logica assistenziale che fa morire I’Isola, e che ancora oggi va tanto in voga presso i loro fratelli più pigri e meno coraggiosi che non vivono di lavoro ma di sole, mare e parole fritte.

      Come quelle raccontate da chi va a cercarli per poter ottenere il voto e poi puntualmente finge di non conoscerli più. Ma sono riusciti a rimanere a casa loro, sono rimasti nel posto in cui sono nati, possono incontrarsi ogni giorno, non hanno cognizione del vuoto. Vuoto che non capiscono come invece si stia tramutando in una penalizzazione per tutti i siciliani indistintamente: chi vive nell’Isola e chi invece se ne è andato.

      Gli uffici non funzionano, i funzionari si rifiutano di operare, nessuno controlla. La gente non capisce più. Figurarsi noi che viviamo lontano! Il ricordo certamente è struggente, ma ha bisogno anche di adattarsi alle mutate esigenze. La Sicilia è cambiata. Anche morfologicamente. Dove c’era una collina, un campo di agrumi c’e ora una superstrada veloce. È il prezzo che bisogna pagare al progresso. Ma perché il progresso sia effettivo c’è bisogno di rivedere tante cose.

      Prima fra tutte, bisognerebbe ricordare ai nostri emigrati che cullano “quel lieve fastidio”, che oggi in Sicilia decine di imprese artigiane chiudono giornalmente i battenti, in un territorio caratterizzato dalla scarsa dinamicità dei mercati, dalla difficoltà dei trasporti (le ferrovie al nord hanno triplicato i binari, mentre in Sicilia si viaggia ancora a scartamento ridotto, che vuol dire un binario) strade e autostrade non sono proprio veloci se per andare da Messina a Palermo non bastano 4 ore e da Trapani a Marsala almeno due.

      Non ci sono state assistenze ma rapine, sfruttamenti, esasperate clientele. Non logiche di impresa ed esigenze di mercato bensì il principio del “prendi i soldi e fuggi via”.

      Così abbiamo costruito cattedrali nel deserto con i capitali dello Stato e della Regione, molte volte compiacenti, evitando, forse volutamente, di gettare le basi per un futuro programmato, di costruire una moderna mprenditoria che sappia far fronte alle sfide del III° millennio che, bene o male, coinvolgeranno anche la nostra Isola.

      Mancano i servizi e le strutture. Circondata dal mare, la Sicilia non possiede un solo porto commerciale. Colma di tesori architettonici non riesce a dare impulso al turismo che potrebbe essere veramente un plus valore economico.

      Non si riescono a sfruttare, anche per carenza di informazione, quei fondi CEE che hanno invece fatto prosperi e moderni altri paesi come Spagna e Portogallo.

      I giovani corrono ancora dietro all’impiego pubblico sicuro, nel quale sia possibile anche non lavorare. Mafia, criminalità, usura sembrano essere le attività occupazionali, ma più ancora sembra vincente la mentalità del “lasciar passare”.

      Purtuttavia restiamo fiduciosi.

      Tutti noi, lontani, vorremmo un segnale che ci dimostrasse che le cose stiano veramente cambiando.

      Cosí lanciamo una provocazione: perché non fare nostra, della Sicilia, la proposta di eleggere presso l’Assemblea regionale rappresentanti eletti all’estero? Perché non dimostrare così alle autorità nazionali che la Sicilia vuole effettivamente tenere in considerazione i suoi figli che vivono lontano?

      Perché non far sì che quel “lieve fastidio” che ci curiamo in fondo a noi stessi faccia un pò meno male?

      Per la Sicilia, solo per amore di un’Altra Sicilia

    10. Ah, tesoro di Maristella… quanto mi manchi.

    11. Johnnuzzo sei una delle persone più importanti che restano lì ad aspettarmi e che mi fanno sempre sperare di tornare

    12. 🙂

    13. maristella, sto continuando a piangere come un cretino dopo aver letto le tue bellissime parole sulla mia nostra spettacolare isola.
      io sono andato via da palermo a 19 anni adesso ne ho 27 ma no avevo mai provato-lo giuro-cosi tanta nostalgia come oggi.
      io provo ad andare in giro per milano cercando un angolo di sicilia ma invano,perchè non lo trovo.
      un abbraccio grande grande a tutti i siciliani

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