Contrada amico di Borsellino? La famiglia smentisce
L’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada ha detto al suo legale Giuseppe Lipera che era amico di Paolo Borsellino: «Avevo ottimi rapporti, eravamo amici. […] Con Borsellino c’era un’ottima collaborazione professionale, ma anche un’amicizia che ci portava a frequentarci fuori dal lavoro».
La vedova Agnese, i figli Lucia, Manfredi e Fiammetta e il fratello di Borsellino smentiscono seccamente: «Mai rapporti di collaborazione, tanto meno di amicizia».
Rita Borsellino, sorella del magistrato e leader dell’opposizione all’Ars si è detto contraria alla grazia «Non sono crudele ma pretendo giustizia. Mio fratello non è morto nel suo letto. La grazia concessa a un condannato per mafia sarebbe un precedente pericoloso».
Potrebbe essere certamente tutto falso, ma non è detto il contrario, chi dice che uno non conosce una persona e ne è amico e deve per questo passare dai familiari ? ho ottimi amici, uno in particolare, cui sono molto legato, e non ho mai avuto rapporti con la sua famiglia, anzi non li ho mai visti, è possibile ?
chissà poi dove sta la verità sul caso Contrada, mi lascia tutto molto perplesso…però Rita Borsellino dovrebbe avere nel caso Contrada almeno la stessa perplessità, senza scusare o giustificare niente, soprattutto in caso di conferma della sua colpevolezza, ci mancherebbe, sto parlando almeno del beneficio del dubbio di un caso a mio avviso “anomalo”, non stiamo parlando di grazia per Brusca o chissachì, e non saprei io stesso cosa pensare della grazia per Contrada, spero solo che se ci deve essere un risvolto o un colpo di scena ci sia subito, non quando Contrada è ormai morto.
Rita Borsellino per me stavolta ha perso una buona occasione per tacere, o per meglio dire ha confuso una riflessione che avrebbe dovuto fare con una dichiarazione da politico e da comizio da fare classicamente alla stampa
Si maContrada cosa spera di ottnere dicendo che er amaico di Borsellino?
Non vorrie pensarlo..ma è un modo per far vedere tramite i mass media che lui è una persona per bene? E poi..lo dice solo ora….
leggittimi dubbi sulla sua colpevolezza..ma leggittimi dubbi pure sulle sue affermazioni..mi spiace!!
concordo con sergino, anche perchè per il tipo di incarico che aveva Contrada niente di strano che potessero avere rapporti di collaborazione o anche amicizia. Anche quando fosse vero che fossero amici non significa niente. Se è colluso con la mafia deve pagare. L’amicizia con Paolo Borsellino non lo scagiona da niente.
E’ chiaro che eventualmente si frequentassero, Paolo Borsellino non conosceva gli eventuali rapporti di Contrada con la mafia. Nessuno di noi sa tutto delle persone che frequentiamo. Non possiamo andare in giro e chiedere a quelli che frequentiamo il certificato antimafia.
Resta il fatto che se è stato colluso deve pagare fino all’ultimo
pienamente d’accordo!!
chi sbaglia deve accettare le conseguenze delle propie azioni e pagare per ciò che ha fatto
nn è cattiveria, ma un modo per dire grazie a tutti coloro che ogni giorno si battono per rendere vivibile la nostra città (e non solo)
se fosse stato vero credo si sarebbe saputo da tempo…
Assolutamente contrario alla grazia!! Anzi, i rapporti con la Mafia da dietro una scrivania, dalla parte in cui dovrebbe starci lo Stato, dalla parte che in cui vorremo sentirci tranquilli, sono per me più gravi e più pericolosi rispetto ai rapporti “classici”. La Mafia è Mafia!! Stop!!
Le prove fornite dai testimoni e le intercettazioni telefoniche
Abbiamo già avuto modo di riscontrare il sentimento di diffidenza che alcuni colleghi di Contrada avevano manifestato nei confronti dell’imputato. La moglie del dirigente della Squadra mobile di Palermo dott. Cassarà racconta di avere reiteratamente accolto gli sfoghi del marito circa la figura del Contrada e in ciò è stata avallata dai testi Vincenzo Immordino, ex questore di Palermo, Francesco Forleo, già segretario del sindacato di Polizia Silup a cui aveva aderito l’amico Cassarà e dott. Montalbano, dirigente della Squadra mobile di Trapani. Quest’ultimo, tra l’altro, riferisce che in epoca precedente il suo trasferimento a Palermo, in occasione di una perquisizione eseguita presso il “Circolo Scontrino – Loggia Iside 2”, aveva avuto modo di rinvenire nel cassetto personale del Gran Maestro una copia della rivista “I Siciliani” del novembre 1985 in cui si diceva che il dott. Cassarà, prima di morire, stava svolgendo alcune indagini sui Cassina e sul predetto ordine cavalleresco, di cui faceva parte anche il dott. Contrada. Non appena giunto a Palermo venne poi a sapere dall’agente Natale Mondo (uomo fidato di Cassarà, anch’egli tragicamente assassinato) di “diffidenze molto serie” che sia il dott. Montana che il dott. Cassarà avevano sul conto dei dott.ri Contrada e D’Antone, versione confermata anche dalla dottoressa Margherita Pluchino anch’essa parte della squadra di Cassarà, Mondo e Antiochia, rimasto ucciso nell’agguato mafioso teso a Cassarà. Montalbano precisa inoltre che, riferendosi ai poliziotti sopracitati, “addirittura mi dicevano entrambi che ciò faceva sì che all’epoca i due funzionari, Cassarà e Montana, operassero anche loro in tema di ricerca latitanti sostanzialmente di nascosto, come poi, mio malgrado, mi trovai costretto a fare anch’io”. Anche il consulente dell’Fbi e della Dea Charles Tripodi testimonia il dubbio nutrito, questa volta da Boris Giuliano, nei confronti del dott. Contrada. Tripodi, legato a Giuliano da un profondo rapporto di amicizia e di fiducia, svolgeva indagini sotto copertura quando il Giuliano gli suggerì di ritirarsi poiché una talpa interna aveva svelato la sua identità. Interessante la sua dichiarazione in merito al fatto che solo pochissimi funzionari erano al corrente dell’operazione e tra questi il dott. Contrada. Charles Tripodi ha inoltre testimoniato circa l’attendibilità di un incontro avvenuto tra il Giuliano e il Commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona avv. Ambrosoli, pochi giorni prima che questi fosse assassinato. Numerosi testimoni, tra i quali uno oculare e la moglie dello stesso Giuliano, hanno confermato la versione dell’incontro il quale si sarebbe verificato nell’ambito delle indagini circa il falso sequestro inscenato dal bancarottiere Michele Sindona fuggito dagli Stati Uniti perché accusato di bancarotta fraudolenta. Nel periodo in questione, accertato il collegamento del Sindona con ambienti malavitosi siciliani e massonici, si è verificata la presenza in Italia del mafioso italo-americano John Gambino, esponente di spicco della famiglia Gambino il cui padre Charles era indicato come uno dei capi di Cosa Nostra americana. Individuatolo a Palermo presso il Motel Agip il teste Antonio De Luca lo aveva fermato, interrogato e perquisito. DopodichÈ aveva rintracciato il Contrada chiedendogli di trovare un pretesto per poterlo arrestare ed evitare che si desse alla fuga. Contrada però rispose che il giudice istruttore Ferdinando Imposimato, titolare dell’inchiesta, non aveva elementi sufficienti per poterlo trarre in arresto, cosa che lo stesso Imposimato smentì categoricamente anche perché, come riferisce il Giudice Istruttore, “egli non avrebbe in alcun modo potuto dare disposizioni su tale materia che rientrava nella competenza del dott. Sica, pm titolare dell’azione penale nell’inchiesta in oggetto”. La fuga del Gambino si rivelò decisiva ai fini dell’espatrio dello stesso Sindona il 13 ottobre 1979. Interessante a questo punto ricordare che al commissario capo di Pubblica Sicurezza Renato Gentile il dottor Contrada avrebbe detto che “determinati personaggi mafiosi hanno allacciamenti con l’America per cui noi, organi di polizia, non siamo che polvere di fronte a questa grande organizzazione mafiosa. Hai visto che fine ha fatto Giuliano?”. Tale colloquio è stato riportato da Gentile, su suggerimento del suo superiore, il dott. Impallomeni, in una relazione stesa il 14/4/1980 nella quale il commissario capo scriveva che la sera del 12/4/1980 era stato fermato dal dott. Contrada il quale gli aveva fatto presente di aver avuto lamentele da parte dei capi-mafia circa la sua metodologia nel condurre le perquisizioni presso le abitazioni dei mafiosi. Pochi giorni prima, infatti, il commissario Gentile aveva eseguito un’operazione di quel tipo nell’abitazione di Salvatore Inzerillo e l’avvocato del boss mafioso Cristofaro Fileccia, aveva riferito a Contrada che il suo cliente lamentava un comportamento poco corretto con la moglie e le figlie da parte degli uomini della polizia. Aveva pertanto richiesto al suo legale di riferire le sue rimostranze direttamente al dott. Contrada, anche se non era lui il responsabile diretto dell’operazione avvenuta in quanto da alcuni mesi dirigeva la Criminalpol e non si occupava più della Squadra Mobile.
Un’altra dichiarazione decisamente compromettente è quella rilasciata dall’imputato a Gilda Ziino, vedova dell’ingegnere Roberto Parisi, già presidente della società I.C.E.M. e della “Palermo Calcio” ucciso a colpi di pistola in un agguato di stampo mafioso. Il giorno dell’assassinio, la donna era rientrata da poco nella sua abitazione dall’ospedale dove non aveva ancora avuto modo di vedere la salma del marito. Il dott. Contrada si era presentato alla sua porta chiedendole un colloquio riservato e dopo essersi recati nello studio sito al piano inferiore le disse “con fermezza che qualunque cosa io potessi sapere che riguardava la morte di Roberto dovevo stare zitta, non parlarne con nessuno e ricordarmi che avevo una figlia piccola mi disse solo queste testuali parole”. “Sorpresa e intimorita” la signora, una volta che il Contrada se ne fu andato, riferì dell’accaduto al suo avvocato prof. Alfredo Galasso il quale a sua volta ebbe modo di riferirlo al giudice istruttore Falcone con il quale poi ebbe un incontro in assoluta riservatezza un sabato pomeriggio all’interno del Palazzo di Giustizia. La domenica immediatamente successiva “il dott. Contrada ha suonato al campanello di casa mia, io ho aperto, l’ho fatto accomodare, naturalmente la mia emozione fu tale, mi sono seduta e mi ha chiesto subito, immediatamente, – signora lei ha avuto un incontro con il dottor Falcone?…Io negai”. Allo stesso modo la signora Gilda Ziino informò immediatamente l’avvocato Galasso che non trovando il dottor Falcone, pregò il suo stretto collaboratore Ayala di farlo in sua vece. La tesi presentata dalla signora Ziino, è stata confermata da tutti i professionisti, mentre la difesa che pretendeva di ricondurre a semplici raccomandazioni le parole di Contrada e negava il secondo incontro è stata rigettata dalla Corte.
Passando ad altro argomento approfondiamo l’assunto dell’intercettazione telefonica tra l’imputato e Nino Salvo già precedentemente citato. In seguito all’avvenuta informazione attraverso notizie di stampa di essere stato indicato insieme al cugino Ignazio quale possibile mandante dell’omicidio Chinnici, Antonino Salvo si era voluto mettere immediatamente in contatto con il capitano dei Carabinieri Angiolo Pellegrini e con il dottor Contrada affinchÈ segnalasse al proprio superiore, dott. De Francesco, che egli si riteneva vittima di una congiura politica. Precisando che il dottor Chinnici, prima di essere ucciso gli aveva personalmente comunicato che stava per emettere mandati di cattura nei confronti dei cugini Salvo, il funzionario Pellegrini, a conoscenza del procedimento penale aperto a carico di Salvo dal giudice Falcone non aveva ritenuto opportuno incontrarlo informando tempestivamente lo stesso Falcone. Solo in un secondo momento dopo le reiterate richieste del colonnello Frasca, suo superiore, aveva accettato l’incontro inviando pronta relazione al predetto giudice. Procedura non condivisa da Contrada che invece dopo aver parlato telefonicamente con il sospettato, dalla cui intercettazione la Corte ha evinto un rapporto di tipo piuttosto confidenziale, lo avrebbe incontrato senza nulla riferire al dottor Falcone che in un successivo momento avrebbe ironicamente dichiarato “ancora aspetto quella telefonata”.
Tratto da:
http://www.societacivile.it/previsioni/articoli_previ/contrada.html