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domenica 24 nov
  • Gorgoglia la notte al giardino di Verdura

    (sottotitolo: per Vinicio Capossela)

    Vinicio Capossela

    È arrivato dalla Barbagia tra muggiti e profondità sonore, lo hanno portato le campane dei mammutones, maschere e corna, pellicce e ombre.

    Avanza quatto quatto dentro la cornice di pietra del giardino del principe e la sua voce rimbomba dentro lo stomaco dei mondi scomparsi. Mondi agresti di sacrifici e orge dimenticate, mondi che furono e che sotto la cenere del quotidiano sopravvivono ancora, corde e budelli tesi sopra gusci di tartaruga che basta un pizzico a fare ritornare vivi.

    Un cantastorie magico, un rievocatore di anime, un manipolatore di suoni che sono gocce d’oro, poi visioni di fumo e ancora onde e alghe marine. Scende dentro Vinicio e arriva ai simboli, li tira davanti ai nostri occhi come se fossero fili di burattini, una danza di sagome che appaiono agli occhi che sanno vedere e rinsaldano i legami con la profondità di noi stessi e ci collegano con gli altri, con il mondo, con il passato e con Dio.

    Il Signore delle schiere e degli eserciti, il Signore del Vecchio Testamento. Parole di pietra su cui si sono arrampicati i rovi e di cui il tempo ha fatto muschiare la superficie, rovi muschi e licheni.

    Si agita Vinicio e predica “a mascellate d’asino difenderai il tuo cuore” le parole salgono a fatica nel giardino del principe tanto è densa l’aria, aria d’acqua, aria umida. Aria di luglio africano, insopportabile, che il motivo mediorientale amplifica passando da tutti i pori della pelle, entrando dentro le narici, passando dai sedili di tufo fino in cima alle palme, vagheggiando cedri del Libano e vino dell’Iran. I paesi dove tutto cominciò e dove, oggi, sembra si sia infranta l’ultima speranza di redenzione dell’uomo contemporaneo. “Il sangue che hai versato ricada su di te”, dice Vinicio.

    Vodka liscia contro l’afa e quantità di note d’ottone che s’infrangono sulle percussioni, sui ricami preziosi delle sillabe scandite dall’affabulatore, lui travestito da marajà, tra ombre di giannizzeri e cuscini di taffettà. Solletica i sensi visivi con piume di struzzo e ombre cinesi che da dietro le sue spalle accompagnano ogni saltello, ogni sopracciglio inarcato, ogni battito del cuore del giocoliere di note.

    Omaggia il sud Vinicio, riverisce la madre delle madri, la madre del mare e del vino, la madre baldracca di tutti noi. Lui che si permette, fa saltellare la statua di legno dell’Uomo vivo, pazzo di gioia, sulle spalle della gioventù sciclitana. Baldi ragazzoni in grembiule che abbannìano e isano la statua che salta salta fino a che arriva a guardare il mare “barcolla, traballa sul dorso della folla”, le visioni si accavallano mentre lui canta e lancia petali di rosa e saltella a braccia aperte, arriva a tutti lui e come la statua “ha raggi sulla schiena e irradia gio- gio-ia” e noi come lui saltiamo e spalanchiamo le braccia, saltiamo e (come lui) non sappiamo dove andare.
    C’è anche San Vito, il protettore dei tarantolati, il corpo che a terra si dimena e non riesce a scacciare i diavuluna, tamburiate e vino, eco di lontani rituali e ritmi ossessivi, ombre che continuano a contestare le leggi della fisica attorcigliandosi sulle sue parole, muovendosi senza considerare i legami degli arti, dinoccolati, insensati.
    “E il continente se ne infischia”. E già.

    Chi ci capirà mai? Se non i profeti o gli ubriachi, i dannati degli inferi di bar, le cassandre e le meduse cha cha cha, le protettrici degli affamati e dei naufragati forse? Chi renderà giustizia alle nostre tradizioni, al sangue, alle processioni e al sole? Chi all’olio fritto fituso e alle pale di fico d’India? Chi alle pozzanghere di cemento armato e allo squallore delle nostre città? Chi al meraviglioso giardino di un principe colto, che se avesse potuto (e forse lo ha fatto) sarebbe risalito un attimo, l’altra sera (così come abbiamo fatto noi) per farsi un bagno di sudore e poesia, laggiù con l’ultimo dei filibustieri, con il pirata, Vinicio, l’ultimo chansonier.

    Palermo
  • 3 commenti a “Gorgoglia la notte al giardino di Verdura”

    1. nulla da aggiungere…concerto fenomenale!!
      2ore e 45 di puro godimento visivo e uditivo!
      grande artista vinicio!
      e anche se sono di parte mi permetto di aggiungere sinceri apprezzamenti per il post!
      brava cri!

    2. Mi spiace x voi ma la mia non è una provocazione,penso ke un artista essendo un comunicatore debba arrivare in modo chiaro a molta gente,specie se te ne danno la possibilità e non ad una cerchia, ad elitè,insomma…ogni artista può adottare secondo il proprio modo di essere la forma espressiva ke più si sente ma è importante farlo senza destare esclusione da parte di ki ascolta…io noto in lui il gusto di voler parlare a poca gente,quasi a farlo apposta, ad una tipologia di pubblico ke vuol lui o qlc1 ke sta dietro lui ed io mi kiedo:ne proverà mica gusto?Un cantastorie è compresibile in modo semplice non x forza deve riuscire a far passare il messaggio a tutti ma esser già comprensibile senza stare li a voler fare una sottile distinzione tra le righe..scusatemi ma c è molta gente ke come me fatica a capirlo pur mettendoci tutta la buona volontà e credo non debba essere motivo d orgoglio e vanto x ki invece non ha di queste difficoltà..credo non sia giusto da parte sua e poco artistico mi fa pensare a quei giullari di corte ke intrattenevano solo una certa cerchia…Questo x me è uno sfogo sentito non mi reputo artista pur facendo musica ma un modo così chiuso di comunicare camuffato in forma artistica proprio non lo reggo..non sarete sicuramente daccordo cn me visto ke ki ha lanciato questo blog ha adottato la stessa forma stilistica di Capossela..(non so se volontariamente comprensibile a pochi)..spero non farete di questo mio commento un file disperso.
      .un saluto a tutti da un semplice margarita..CIN CIN.

    3. Se solo avessi usato un indirizzo e-mail reale ne avremmo potuto parlare, perché i commenti a questo post forse non sono la migliore sede per un ragionamento sul blog…

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