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venerdì 20 dic
  • Valentino vestito “di nuovo”

    Era una strana domenica di febbraio, il generale inverno mostrava tutta la sua imponenza sferrando un attacco di gelo sulla città che viveva uno strano giorno; coincidevano infatti il Carnevale, la festa degli innamorati e l’ennesima follia dell’amministrazione cittadina.
    Il blocco totale (per un solo giorno) della circolazione automotomobilistica.
    Come se uno che ha il colesterolo alto digiunando una volta al mese risolvesse il problema.
    Alla fermata dell’autobus di via Ruggero Settimo, sotto i portici, all’improvviso quel piccolo Zorro scappò, veloce, mimetico, come solo i bambini sanno fare.
    Svanì in un attimo tra la folla di adulti che “gestivano” piccoli “uomini ragno”, “Gormiti” e “coniglietti”.
    L’urlo della mamma zittì il brusio dei passanti; l’ansimante rincorsa fra stelle filanti spray, e insinuanti coriandoli, e poi…fra mille gambe…Tonino, bloccato da un tipo che con forza e amorevole cura, accovacciato: «Hey piccolo, non si fa, lo sai che mamma è preoccupata?».
    Lei arrivò impaurita, guardava il bimbo, lui lo teneva stretto, guardava il bimbo.
    Lei lentamente, riprendendolo a se, alzò gli occhi e provò a dire…: Grazi…
    Lui alzò a sua volta gli occhi e…non riuscì a parlare; Entrambi quasi stritolavano in una morsa quel bambino.
    Occhi negli occhi, si persero nella certezza delle loro anime, lì al centro di Palermo, fra mille sguardi e rumori. Lui incantato bisbigliò…Cettina.
    Lei quasi svenne senza mai mollare la “presa”. Cettina. Erano venti anni che nessuno la chiamava così, Titti la chiamavano famiglia e amici, quasi a giustificare quel suo vero Maria Concetta; Titti era per tutti. Ma una volta, una sola volta nella vita, aveva permesso d’essere “oltraggiata” con quel “popolare”…Cettina.
    Era un “nullaosta” speciale, una licenza particolare, era stato un gioco, divenne amore.
    Amore, vero, puro, lei si donò completamente, concesse la verginità proprio a colui che la “oltraggiò” a colpi di…Cettina. Cettina! Mai altre labbra avrebbero potuto permettersi; Mai quel suono sarebbe stato più dolce pronunciato da Eros in persona, detto con quegli occhi, con quel sorriso, pronunciato con tutto quell’irriverente amore.
    Venti anni, e un destino beffardo in mezzo. Venti anni prima si erano lasciati pur amandosi, senza un vero motivo, e durante i vent’anni…si amarono lontani, senza il coraggio di cercarsi davvero.
    Lui si credeva che lei…… Lei si credeva che lui………; e poi sì, anche il destino.
    È “piccola” Palermo, incontri sempre quello per cui…“minchia, attraversa, attraversa veloce, che c’è l’ho sempre in mezzo”, loro invece per vent’anni furono guidati come degli scambi ferroviari, destinati a non incontrarsi mai. Lui andava a Mondello nei giorni di pioggia, lei nei giorni di sole. Lui andò a far compere nel negozio dove lavorava lei, lei era in ferie. Lei andò a “sbrigare documenti” nell’ufficio di lui quando lui chiese al collega di sostituirlo. Lui…si sposò, lei…pure.
    Fu il pianto di Tonino a farli rinvenire e rendersi conto che le stavano spezzando i polsi, lei lo prese per la mano senza mai staccare gli occhi da “lui”. Poi, anche lei parlò: Ciao Mario, lui è…mio figlio.
    Bello, rispose lui, io…ne ho due.
    Lei si girò per un attimo a guardare la strada, poi tornò gli occhi verso di lui: Mi piacerebbe parlarti, ma arriva il mio autobus, senti…veloce, hai carta e penna? Lui preso alla sprovvista disse: No.
    Lei si avviò verso la fermata trascinando il suo bambino e volgendo indietro lo sguardo, lui la seguiva come ipnotizzato, lei si arrestò un attimo, si girò, lo afferrò per il bavero e lo baciò con impavida passione, riprese i suoi passi salendo sull’autobus mentre gridava: 339 1234567, e sparì dentro il parallelepipedo arancio.
    Lui restò per qualche attimo impietrito, rinsavì quando un’antipaticissima “principessa Sissi” gli tirò in faccia una manciata di “pittiddi” che lui quasi ingoiò rischiando di soffocare.
    Poi cominciò a camminare sveltamente mentre ripeteva una litania: 339 1234567, 339 1234567, 339 1234567, 339 1234567. Si fermò all’edicola: Senta ha carta e penna per favore? 339 1234567, 339 1234567…..
    Entrambi non dormirono tutta la notte, ripassarono quel vuoto di vent’anni e non si diedero pace, non v’era ragione. Lui si credeva che lei…lei si credeva che lui…
    Alle sei del mattino seguente lui fremeva, si chiedeva quando avrebbe potuto chiamare; alle sei del mattino lei fremeva si chiedeva se lui avesse mai chiamato.
    Venti anni si raccontarono, si dissero come l’uno non avesse mai scordato l’altro, caddero nell’errore di dirsi…T’AMO, T’HO AMATO, T’AMERÒ.
    Inevitabilmente…s’incontrarono, e fusero i loro corpi. Ansimavano e piangevano, si guardavano e ridevano, gemevano, ognuno s’impregnò degli umori dell’altro e il loro sudore divenne uno. Furono “sarde e finocchietto selvatico”. Si rividero ancora.
    Un giorno lui andò oltre: Cettina…io…voglio prendere il caffè con te al mattino, in una casa dove…TU ci sei dentro. Lei lo guardò fisso e: Mario, ma ti rendi conto di quello che hai detto? No perché…io…dentro quella casa, quel caffè…lo berrei volentieri.
    Non ci dormirono la notte, manco quella dopo, e così per le successive; le loro menti cominciarono ad abbattere come un domino vent’anni di mattoncini costruiti con pazienza. La loro stessa vita. Affrontarono le rispettive famiglie in una spietata battaglia sul campo della pietà, si logorarono, ma determinati andarono avanti, stanchi, si credevano giunti alla meta.
    Non avevano ancora affrontato…Palermo.
    Palermo, città dove nelle parruccherie, dinanzi le scuole, negli uffici o nei bar si giustifica la decima “esterna” della “tronista” (perché “schiniare” è diverso di fare “l’esterna”), dove si perdona l’ennesimo incesto di Brooke di Beatiful (perché mischina…stavolta è sincera). Quella stessa Palermo, le stesse persone, si preparavano a sentenziare: Iddu è un fangu e idda è buttana!
    Palermo li vuole al rogo, come il “Nanno e la Nanna” maschere carnascialesche locali di cui la maggior parte dei palermitani non conosce nulla…proprio come dei “nostri”…amanti.

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  • 15 commenti a “Valentino vestito “di nuovo””

    1. al di là di qualche errore “si crede”, “avesse”…, è davvero ben scritta!

    2. ma e’ la mia storia ?

    3. ma dai.. palermo non è più così, comunque se è una storia vera… tanta felicità!

    4. Non può essere una storia vera… a meno che non si sia trattato di una domenica di 30 anni fa, ai tempi della crisi petrolifera.
      E se invece fosse accaduto veramente proprio oggi, consiglio vivamente a “lui” di non telefonare.

    5. A Palermo si vivono telenovele ben più complesse senza che si scandalizzi più nessuno…..comunque a conti fatti…un bambino lei, due bambini lui…anche io consiglio di non telefonare (pur sapendo che è un consiglio che cadrà nel nulla; quando la passione chiama….)

    6. tommà, mi piaci perchè sei vero, perchè non me ne frega niente se si telefoneranno o se parlavi dell’austerity degli anni settanta e della giornata odierna, hai raccontato una storia, la storia di un nome pronunciato da una sola persona, probabilmente una grande storia, mancata per un pelo o forse ancora da afferrare a morsi, tra la maldicenza di chi non ha niente di meglio da fare:
      “Iddu è un fangu e idda è buttana!”
      graziassai!

    7. Un aneddoto di cui sono stato testimone diretto:

      Palermo fine anni ’80, due ragazzi si scambiano effusioni su una panchina… arrivano i genitori di lei incazzati neri. Il padre si scaglia contro il ragazzo che, pronto, si dà alla fuga; la madre gli urla dietro la frase raggelante: “lassalu stari a iddu,… è idda a pulla!”
      Il padre, riportato alla ragione (?) da quell’assioma tutto siciliano torna sui suoi passi e giù botte sulla ragazza che era rimasta di sasso sulla panchina. Inutile precisare che lei non si vide più nel quartiere per mesi.
      A venticinque anni di distanza siamo passati a “Iddu è un fangu e idda è una buttana” e comunque rappresenta già una grossa conquista.

    8. Seeeee! vent’anni fa!
      Vent’anni fa’ ‘u nummaro di telefono poteva essere mai 339 1234567?
      Vent’anni fa ‘u nummaro di telefono minimo minimo faceva 123456 e sparti senza prefisso

    9. E comunque complimenti Tommà
      Ti meriteresti una impronta corporea nei pilastri di cemento dei portici di via ruggero settimo, attipo walk of fame che in questo caso diventa walk of pititto (cu’ sta grisi!!)

    10. Un amore del passato,
      un destino che è mutato
      dalla maschera di Zorro
      di mio figlio che rincorro.

      II mio amor nasconde un pegno
      che è palese in questo “segno”
      che per il mio cor è quasi una coccola
      è la Z di ZO…….

    11. veramente bella……..bravo!!!!!!

    12. Tommaso, sei un affabulatore nato…i miei complimenti di cuore, forse una storia simile la vorremmo vivere ciascuno di noi e l’ha pure sfiorata, chissà….

    13. Grazie a tutti, siete sempre molto benevoli nei miei confronti.
      @ Giuanni
      chissà ……. 😀

    14. E’ scritto proprio bene, è inutile stare lì a sindacare che quel numero vent’anni addietro non poteva esistere: e allora? L’importante è l’atmosfera, e non deve essere per forza San Valentino per ricreare certe situazioni: basta un profumo, un ricordo, una parola, basta un numero rintracciato su una vecchia agendina. Ben vengano le rispolverate ai ricordi, servono anche esse pe rivivere ciò che hai vissuto.

    15. Vorrei solo farvi notare che il numero è composto “oggi”, è attuale. 😉

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