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domenica 22 dic
  • Attuppamu pirtusi

    Un’amica si era trasferita a Milano e dopo qualche tempo due della vecchia compagnia, verso la fine degli anni ’80, andammo a trovarla. Abitava in estrema periferia, casa piccola ma ci arrangiammo per qualche giorno, giusto il tempo per discutere certi affari computergrafici che poi non ebbero seguito. Ci raccontò del suo lavoro e dei suoi rapporti con gli indigeni. Tutto sommato era contenta, come si può esser contenti a Milano non essendoci nati e tuttavia essendo stanchi dei rapporti involuti e farraginosi che qui sono consueti, per non parlare del lavoro eccetera. Durante il viaggio di ritorno, solite 22 ore in treno, il mio amico sosteneva che lei era contenta ma in fondo come poteva non esserlo? Nata in un paese di montagna della nostra provincia da una modesta famiglia d’artigiani, per i suoi paesani sarebbe sempre stata a figghia ru turrunaru, per così dire, mentre a Milano la sua storia familiare era azzerata, si era rifatta una verginità.

    Io non ero d’accordo con lui, la verginità sociale poteva anche entrarci ma era incidentale. D’altra parte lui aveva intenzione di trasferirsi a Roma, io invece propendevo per Milano, potevamo mai essere d’accordo? Infatti le nostre strade si divisero presto. Quando mi stabilii a Milano andai a trovare ancora una volta l’amica di un tempo per ringraziarla dell’ospitalità prestatami anni prima. Riprendemmo il discorso e lei, che già aveva alle spalle una decina d’anni milanesi mi disse che non sarebbe mai tornata in Sicilia neanche per le vacanze e che comunque se fosse dipeso da lei avrebbe obbligato per legge i giovani siciliani a vivere per almeno 5 anni in Lombardia, meglio a Milano, per levarsi dalla testa una quantità di cazzate e per imparare il significato della parola lavoro. Può darsi che nel frattempo la cultura lavorativa dei siciliani abbia fatto un balzo in avanti che neanche il gran balzo di MaoZeDong ed il senso del bene comune dei siciliani adesso potrebbe forse far invidia ai trentini, allora non era così e perciò ci perdemmo in una discussione da siciliani mentre vagavamo per la Milano autunnale dei Navigli alla ricerca di non ricordo cosa. Non ci incontrammo mai più, anche ma non solo perché da casa mia a casa sua c’erano 40 km di città. Il concetto che lei aveva espresso mi affascinava ma non mi convinceva, io i miei 5 anni a Milano li avevo appena compiuti e il pensiero della Sicilia, di Palermo continuava a occupare la mia mente e la malinconia il mio cuore. Però passarono un paio d’anni ancora e cominciai a sognare in milanese, nel senso che ogni qualvolta tornavo in Sicilia per le vacanze mi accorgevo che dopo qualche giorno non mi pareva l’ora di tornare a Milano.

    Osservando più attentamente e tenendo presente il discorso della mia vecchia amica mi accorsi che c’era in effetti una relazione, o così a me pareva, tra la schizofrenia socioeconomica siciliana e il lavoro, anzi il metodo di lavoro. Preciso subito che il milanese a differenza di quanto si pensa comunemente NON vive per il lavoro, quello è il bergamasco. Il milanese della middle class sfrutta il lavoro per andare in vacanza e per godersi la vita quand’è libero, si spara nei weekend quel che guadagna durante la settimana e lo fa nell’unico modo che conosce, quello più efficiente ed efficace possibile, in modo metodico. In realtà il metodo ambrosiano ha un sapore che è un mix tra quello mediterraneo e quello asburgico con una spruzzatina yankee ma non potrebbe essere diversamente. Del milanese low class posso dire che certamente non se la gode, al massimo si riposa, però la I.T. ha rivoluzionato le categorie. La call-center people è costituita da persone con un profilo e delle esigenze middle ma con un reddito low e così già verso il 1997 mi capitava di incontrare qualche conoscente la sera in locali di tendenza, la mattina a comprar vestiti dai cinesi al mercatino di Via Papiniano, il pomeriggio libero a navigar su internet per cercare un last minute.

    Per tornare al metodo di lavoro, il concetto di base è semplice. Prendere una persona che ha intenzione di fare il lavoro per cui è pagato, metterlo insieme ad altre persone che hanno la stessa intenzione e che pensano “siamo nella stessa barca” quindi remare tutti più o meno nella stessa direzione e con lo stesso ritmo. Ovviamente si può navigare a vista o se c’è nebbia con la bussola e lo scandaglio, in tempi recenti col GPS. Esiste una corrente d’opinione secondo la quale ciascuno ha il suo metodo. E’ un’opinione errata, di metodo ce n’è solo uno ed è quello cartesiano. Non è la panacea lavorativa, non lo si può applicare al processo ideativo e creativo, però dopo l’idea viene l’esecuzione e anche i creativi si assoggettano al metodo per ottenere il risultato concreto. Il metodo può essere modulato secondo il contesto a cui è applicato, ma sempre metodo è. Chi lavora per qualche decennio in un ambiente in cui il metodo è applicato estensivamente è probabile che lo acquisisca, al cioccolato o alla frutta a secondo dei casi. Lo acquisisce pure chi è nato e vissuto in un cultura in cui il metodo socialmente condiviso è paragonabile a quello del vento che trasporta i semi e li deposita a caso nei campi incolti, per cui la verdura cresce “a troffe” (la metafora non è mia). Ero appena tornato a Palermo e per farmi comprendere il cambio di paradigma mi raccontarono l’aneddoto (forse inventato) del direttore generale milanese che si lamentava dello scarso rendimento della filiale siciliana e che se ne uscì con “Questo è il vostro modo di lavorare?”. Al ché gli fu risposto: “Duttù, cca ‘n travaghhiamu, cca attuppamu pirtusi”. Tale metodo “attuppamu pirtusi” pur se applicato con zelo e gran senso del dovere è inadatto a produrre risultati consistenti e secondo me anche a mantenere rapporti sociali costruttivi. Sarà argomento (forse) di un prossimo articolo.

    Palermo
  • 2 commenti a “Attuppamu pirtusi”

    1. “Duttù, cca ‘n travaghhiamu, cca attuppamu pirtusi” questa frase caro D’Acquisto sintetizza perfettamente il modo in cui i palermitani intendono il lavoro …ma ti dirò di più anche i dirigenti, i titolari di piccole aziende al collasso come quella in cui lavoro!!! Forse noi siculi DOC alla fine ci adattiamo a questo tipo di “mentalità lavorativa” attuppapirtusi se come me non abbiamo la forza di cambiare ..soprattutto regione!!! e così si creano delle situazioni tragicomiche come quella che sto vivendo io adesso:(
      Cmq ti ringrazio di cuore con il tuo articolo almeno mi sono fatta una bella risata…complimenti e auguri caro “rincasato” 😛

    2. Secondo me se un Middle va a Milano per uno stipendio Low allora é meglio che stia Down.

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