Diario per “Aria di libri”
Camminiamo in fila indiana nel caldo.
Le nostre teste scottano per il sole o per il peso del compito che ci aspetta.
Lento io vado in avanscoperta verso gli avamposti.
Li sistemo, porto le vettovaglie e i generi di conforto.
Dei lupi mi guardano affamati. Girano intorno al carro ma i cavalli spingono.
I primi avamposti sono vicino casa.
Sono belli, così solitari, sembrano torri luminose.
Uno si chiama Pallavicino.
Dentro l’aria sembra serena, ma i volti degli abitanti dell’avamposto sembrano chiedermi cosa ci fanno lì. Come se sperassero che io fossi il Generale Caster o giù di lì.
Come se potessi dargli il cambio e portarli via.
Siamo nella Frontiera delle Frontiere penso. E Caster sta dalle parti di Torino non qui. E forse è proprio questo il bello.
No, non mi sento un eroe, certo posso parlare per me ma…
La stanchezza comincia a rodere le ossa e piano arrivo a Borgo Nuovo.
La montagna sovrasta questo villaggio e l’avamposto dove devo consegnare le provviste è nascosto, reso invisibile quasi a forza.
Anche qui i coyote mi guardano. Il loro sguardo è famelico ma c’è nella loro ferinità una genuina cattiveria, mista a riconoscenza. Per cosa e per chi non so.
Gli abitanti mi accolgono con sorrisi e strette di mano.
-Ci vediamo più tardi –gli dico.
E così è.
Faccio il giro degli altri avamposti, di cui scriverò più avanti, e nel pomeriggio porto uno dei Narratori.
Ci mettiamo tutti intorno al fuoco mentre fuori qualcuno spara.
La voce impastata dalla sabbia esce dalla bocca di Perriera.
E Boris Pasternak nasce.
Nasce tra i denti del Narratore e si insinua tra le orecchie dei presenti.
E quasi ci dimentichiamo il deserto e cominciamo a dissetarci.
Per due ore, ascoltiamo incantati, senza sosta, una voce. Magicamente tutto si disegna lento.
Le vettovaglie aspettano e possono aspettare: ancora Pasternak deve parlare.
E come uno sciamano, Perriera, continua a suonare con la sua voce: la Russia e Zivago.
Siamo in un avamposto è vero ma si sta come su un letto di zucchero filato.
Uno zucchero incendiario, però. Che divampa.
Lo stiamo appiccando in diversi punti. Noi qui. Monroy a Brancaccio, Savoia a Palazzo Ziino, Pomar a Pallavicino.
Vari falò zuccherini che forse si trasformeranno in un incendio oppure no. Forse rimarranno solo piccole luci di segnalazione.
Ma l’importante sta nel soffiarci sopra il più a lungo possibile e cercare di non spegnerlo mai.
Perché lo si sa la cultura è Centripeta!
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