Immaginiamo per un secondo uno spazio sconfinato, verdi praterie che si stendono lungo la valle, la speranza per il nuovo mondo. Il primo giorno, eravamo tutti con il fiato sospeso: Rosalio.it si presentava proprio così.
Questo spazio vuoto volevamo riempirlo delle nostre migliori idee e queste idee metterle alla prova, prima di tutto contro. Contro l’assenza di iniziativa della nostra città stagnante, gioco facile, ma anche contro i soliti noti che se ne stanno seduti in poltrona a parlare anche per noi, anche per Palermo. Contro tutto questo, semplicemente provavamo a dire: a Palermo pure io .
Ci volevamo mostrare, mostrare che siamo in tanti (un milione!) e che siamo molteplici, che Palermo non è di certo la sua decantata palermitanitudine, non è per forza una condizione metafisica unificante da cui riflettere tematiche universali ma è proprio come ogni città, fatta di tante cose. Impegno civile e shopping sfrenato, feste vip e raduni alternativi, tacchi a spillo e ballerine, cinefili e cinofili, vegetariani e amanti delle fettazze di carne, buddisti, nostalgici, sbruffoni, omosessuali, tassisti, romanzieri falliti, dopolavoristi della domenica e, perché no, perfino semiologi. Cosa avevano in comune persone tanto diverse? Il fatto di essere ai margini del discorso della città, non integrati e pertanto antagonisti (antagonismo con il senso dell’umorismo!), in competizione con la città integrata, quella riconoscibile e riconosciuta. Gli autori e i commentatori di Rosalio, infatti, pensano di saperla lunga, più lunga dei canonici interpreti della città e di questi, sia virtualmente che fattualmente, vogliono prendere il posto, per fare meglio. Tanta vita, in un mix esplosivo fra quotidiano inesplorato e positiva presunzione, secondo noi che abbiamo fondato Rosalio, scorreva insospettabilmente, senza che nessuno se ne accorgesse. Per due ragioni. La prima è davvero ovvia, la vita quotidiana nella nostra città è sempre stata considerata un lusso, non si può parlare delle scarpette basse in una città metafisica, nella città della morte, nella città in missione, non c’è tempo per queste fesserie. L’altra, se volete, è un po’ meno evidente ed ha a che fare con il fatto che ogni microgroppuscolo della città si sente e si comporta come legittimo rappresentante di “tutta Palermo”, incarnatore del bene e del male urbano, tanto da impegnarsi fattivamente non soltanto a contraddire il proprio interlocutore (come sarebbe normale) ma al contrario a cercare di epurarlo, di ridurlo al silenzio, di scacciarlo, di cancellarlo. Continua »
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