Metà mattinata, bar. Orario perfetto per un caffè. Fumo una sigaretta e noto una folla, sebbene di dimensioni contenute, sul marciapiedi davanti al bar. Un noto politico è assediato da un nugolo di uomini pressoché adoranti. Lo guardano ammirati. Mi pare che pendano, letteralmente, dalle sue labbra. È un viavai di conoscenti che dapprima scrutano e, immediatamente dopo, riconosciuto il soggetto si avvicinano per baciare, dare una mano, toccarlo per poter dire “sì, c’ero”. Il “politico” ha l’aria infreddolita, c’è vento, si stringe nel cappotto e sorride annoiato. Si tocca i capelli, adesso. Un tizio gli parla, è proprio lì accanto, alla sua destra. Lui ha lo sguardo altrove e accenna con il capo come a sottolineare ad una sorta di assenso.
Ecco, questa è un’istantanea dell’atteggiamento classico dell’elettore divenuto suddito. L’atteggiamento che, alla fine, la dice lunga sul modo di intendere la politica e forse la stessa vita sociale. Lo sguardo, dapprima smarrito e stupefatto che diviene poi orgoglioso. L’orgoglio di essere lì, si, accanto a lui e riuscire magari a parlargli. Un favore? Un affare comune? Una segnalazione? Non saprei. Certamente non un caffè. Il nugolo di fans, infatti, è rimasto per tutto il tempo sul marciapiedi, a prendere freddo. Oggi c’era il cielo, tirava anche un po di vento. Il clima è stato tutto sommato favorevole: non ha piovuto e la sosta sul marciapiedi, chissà, poteva essere ben più scomoda.
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