Profilo e post di

e-mail: dario.corso@alice.it

Biografia: Palermitano, nato proprio all’inizio del 1976, il primo di gennaio. Da molti anni, in maniera spesso incostante e comunque amatoriale, si occupa di fotografia e di lomorafia. Nikonista e lomografo appassionato, guarda il mondo che lo circonda dal buco di un obiettivo di una reflex o dal mirino di una toy cam cercando di raccontare, descrivere il mondo che lo circonda. Laureato in Economia nel 2003, dottore di ricerca in materie economiche e statistiche nel 2007, per adesso si occupa di turismo sostenibile e di e-learning. Intanto ha trovato la donna giusta, Elisabetta, e l’ha sposata nel 2008, da marzo 2013 è anche papà del piccolo Emilio. Sono proprio loro lo stimolo ad una fotografia lontana da canoni e stereotipi inflazionati dalla comunicazione visiva più frequente. Segue l’ambizione di raccontare un mondo in cui la bellezza e l’armonia delle cose possano sostituire l’ottusità e lo squallore che spesso sembra regnare a Palermo più che in altre città.

Dario Corso
  • Ballarò on the road

    Ballarò on the road

    Il Prologo
    Forse sono nato per sbaglio a Palermo.
    Forse sono un palermitano sbagliato.
    Forse continuo a sbagliare se resto a Palermo.
    Ma provare a raccontare con le immagini la mia città, e contestualmente cercare di capirla, leggerla e viverla, mentre l’attraverso, mi permette di misurarmi ogni giorno con i suoi angoli e con i suoi spigoli, sempre vivi e duri come la luce e l’acqua che la bagnano inondandola.
    E così in una fredda giornata piovosa di dicembre mi sono messo per la strada di Ballarò … … …

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    Ospiti
  • Fabbriche dismesse a Palermo

    Galleria fotografica sulle fabbriche dismesse a Palermo

    Sono scheletri senza nome. Ventri abituati a fagocitare tutto e tutti inseguendo il mito della produzione. Colossi al cospetto dei quali ti senti piccolo e senza storia. Sono queste le prime impressioni che ti passano sottopelle quando ti trovi, armato di macchina fotografica, all’ingresso di un sito di archeologia industriale.
    Un misto di abbandono e disuso ti accoglie.
    Di solito è un buco nel muro di cinta che ti permette di entrare in contatto con loro. Un porta arrugginita, spalancata, oppure una finestra divelta a segnare l’ingresso nella loro dimensione.
    Lì dentro ti senti come Pinocchio dentro la pancia della balena. Non credi possa esserci un mondo come questo, fatto di storia, resti e segni di un passaggio dell’uomo che la natura, piano piano, sta cancellando. Così, dove non si produce nulla, è facile imbattersi in germogli e arbusti di piante che hanno dovuto attendere il “fine lavori” per ricordarci che l’uomo e le sue imprese passano, mentre la natura è sempre pronta a ricominciare.
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    Ospiti
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