Profilo e post di

e-mail: ettore.zanca@libero.it

Biografia: Sono nato a Palermo il 18 settembre del 1971. Sono laureato in giurisprudenza e attualmente vivo a Colleferro, in provincia di Roma, sono sposato e ho un figlio di quattro anni. Sono consulente legale, ma ho la passione per la scrittura. Da un paio d’anni ho messo più dedizione in questa passione, iniziando a scrivere racconti di narrativa, sfociati in una raccolta attualmente in visione ad alcune case editrici, intitolata E vissero tutti feriti e contenti. Ho in cantiere un altro paio di libri tuttora in lavorazione. Contestualmente ho iniziato anche delle collaborazioni giornalistiche, per puro divertimento e senza alcuna remunerazione. Ho iniziato a scrivere una rubrica per un giornale dei Castelli Romani, Il Piccolo Segno, intitolata Beneficio d’Inventario, con al centro tematiche di attualità con un prospetto personale. Successivamente ho aderito al progetto del medesimo giornale, partito nel 2009, di fondare una testata indipendente contro le criminalità organizzate, denominata Rete di giornalisti antimafie, per cui tuttora scrivo articoli. Intorno a maggio 2010 la testata online nazionale Giornalettismo.com, ha cominciato a pubblicarmi una collana narrativa di racconti brevi, intitolata Antieroi antimafia, dedicata a tutti coloro che hanno dato la vita contro la mafia. Per Giornalettismo scrivo anche piccole storie di vita che mi piace ascoltare e raccontare. Il taglio che do a quello che scrivo privilegia l’aspetto del racconto più che dell’articolo vero e proprio. Tra le altre mie passioni, c’è il mio amore sconfinato per la mia città, Palermo, a cui ho dedicato un racconto pubblicato su Giornalettismo, intitolato Troppu scrusciu, la lettura Alajmo, Carofiglio, Cavina, Perrone, in testa come narratori, Palazzolo e Bolzoni come autori di libri-inchiesta, il calcio, in ogni sua forma visibile e giocabile, infine la musica, Ruggeri, Fabi, Stadio, Liga, Vasco, Alessandro Mancuso, Tinturia, Van Des Sfroos, tra i preferiti.

Ettore Zanca
  • La città liquida

    «Palermo è una conchiglia chiusa nel suo centro, Palermo per capirla devi starci dentro…».

    Lo so che è assurdo, ma è come ti dico. La città che vedrai presto è liquida. Non si riflette sull’acqua che la tocca, la prosegue, ne prende l’essenza. È liquida nell’anima ondivaga di chi resta, con una mareggiata interiore che fa odiare Palermo, ma poi basta una sera d’estate con un caldo più mite e torna violento il cavallone della passione, è liquida per chi la lascia, mentre va via la vede attraverso le lacrime, sempre più lontana. Quasi tutti i partenti da lei lo sono a malincuore, a quel punto strappano a sé stessi la solenne promessa di tornare e non lasciare più quel mare. È liquida nel sangue di chi ha lasciato la vita per renderla migliore, o almeno provarci, di chi ha denunciato, lottato, vinto, a volte col prezzo e col sacrificio di una vita blindata. È liquida come il mare di solitudine che spesso ha attanagliato questi eroi, cui la città troppo spesso è stata grata solo dopo, troppo poco durante. È liquida come colori a tempera non ancora essiccati con cui sembra a volte dipinta. Colori che non si lasciano asciugare, cui accanto si dà subito una pennellata umida di un cromatismo diverso, ed ecco che un rosso fuoco di un tramonto unico, si fonde con un azzurro intenso di cielo, con bianca spuma di mare e azzurro di onde, ma stavolta più tenue. Continua »

    Ospiti
  • Zisa Football Club

    Noi che per decidere se era gol, palo o traversa ci bastavano tre minuti, un aggaddo e due boffe all’avversario. Altro che Rosetti, fuorigioco e giudici di linea. Noi che giocavamo in campi pieni di ciache puntute, pezzi di vetro, siringhe e il vero miracolo era che il tetano, il colera e qualche malattia risorta dal Medioevo manco ci davano del Vossia, noi che “campo indoor” era il marciapiede. Noi che attraversare la strada per andare allo spiazzo della via accanto era già partita in trasferta in terra aspra e con un tifo assordante contro, degli abitanti del luogo. Noi che volevamo chiamarci con nomi di squadre altisonanti, che magari provavamo a farci le maglie dello stesso colore e le compravamo al mercatino. Gialle. Noi che dopo la prima partita avevamo deciso che ci saremmo chiamati Ajax anche se eravamo gialli. Ma che dopo la seconda avevamo di nuovo le maglie con tutti gli spettri di colore sul giallo, tranne quello originale. Noi che certe partite sotto “le picage du soleil” di agosto alle due del pomeriggio le ricordiamo ancora come mitiche, estenuanti e bellissime. Noi che se ci proviamo adesso a fare una partita di calcetto, tutti vestiti con le divise da calcio griffate da fighetti, allo stesso orario degli stessi giorni, dopo un po’ cerchiamo un cono d’ombra per far riposare le panze da mulunari, pregando che questo supplizio, pantomima o che dir si voglia, finisca presto, giurando di non farlo mai più alla quarta extrasistole consecutiva. Noi che forse a quei tempi non sentivamo il caldo perché ci accompagnava la brezza della spensieratezza e la leggerezza dell’anima. Noi che il “grattò” di patate e “‘a pasta c’u fuirnu” nemmeno li sentivamo in digestione se ci citofonavano per “la spida a cu arriva primu a cento”. Continua »

    Ospiti
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