Lo sgabuzzino
Non so se avete mai avuto uno sgabuzzino. Forse avete avuto un diario. Francamente, e con tutto il rispetto, non è la stessa cosa. Le funzioni simili potrebbero trarre in inganno. Sono luoghi dove lasciare scorrere i pensieri. Eppure, le differenze saltano agli occhi. In un diario ci metti i colori che vuoi. Uno sgabuzzino buio è soltanto nerissimo. Il diario paga la sua vivacità con una discrezione di cartapesta. Chiunque può aprirlo e leggerti dentro. Lo sgabuzzino è omertoso. Non parla. Non ci sono segni sui muri che possano essere interpretati dagli accurati speleologi della tua anima.
Lo sgabuzzino delle zie era perfetto, una volta superata la paura. C’erano teste di bambole passate, vecchi giochi di società con i pezzi mancanti, rossi cuscini forati pieni di piume, una scala azzurrina che conduceva nel cuore ancora più oscuro di un armadio, un rifugio nel rifugio. E c’era una meravigliosa aria di sfasciume, un odore di passato. C’erano le vecchie foto del bisnonno e il suo busto di marmo, lucido e severo. Quel busto mi ha creato qualche problema di crescita. Osservando la sua rotondità, la sua levigatezza, la solennità dello sguardo scavato nella materia dallo scalpello, mi sono convinto a poco a poco di dovere essere perfetto e immutabile come lui. Solo da poco ho imparato che la nostra vita friabile è fatta di pongo e devi preoccuparti appena appena di trovare la mano giusta perché sia modellata bene. Continua »
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