Un siciliano in trasferta è sempre oggetto di attenzione e curiosità. Forse sono finiti i tempi della diffidenza assoluta, la verità, anche perché ora gli italiani sono tutti più impegnati a parlar male degli immigrati clandestini, brutti, sporchi e cattivi, come venivamo classificati noi quando emigravamo là sopra.
Una cosa però rimane sempre, una specie di marchio di fabbrica che ci accompagna nostro malgrado ovunque andiamo e che quasi ci eravamo dimenticati di “possedere”: l’associazione Sicilia-Mafia. Non mi capitava da tempo. L’ ultima volta era stata ad una gita scolastica ad Atene in cui i camerieri appena sentivano “Sicilia” rispondevano a botta “Mafia!”. Parevano tanti robbò.
Mi è ricapitato pochi giorni fa, in occasione di un viaggio in Veneto. Parlando del più e del meno con un tassista, il livello della conoscenza del fenomeno mafioso è apparso chiaro fin da subito. Mi scappa un innocente «qui è tutto pianura, non ci sono montagne». Una cosa detta così, tanto per fare conversazione. «Già», risponde prontamente il loquace tassista in dialetto veneto stretto che io non sarei in grado di riprodurre, «qui non ci sono le montagne, però la mafia c’ è lo stesso».
Ah ecco, tutto chiaro. In Sicilia c’è la mafia perché ci sono le montagne. Quindi probabilmente il mafioso per una parte d’Italia è ancora il brigante ottocentesco ammucciato nella macchia.
Il tassista continua in un quasi monologo dicendo che «comunque lì la mafia è più discreta, non uccide in mezzo alla strada come giù a Palermo», e alla fine, dopo aver fatto un quadro di tutta la situazione, parlando quasi con autocompiacimento della grave situazione veneta, fatta di intimidazioni e minacce, conclude con una perla di saggezza. «Comunque con la mafia bisogna conviverci, se non vuoi grane. Meglio far finta di non vedere nulla così campi tranquillo».
No, dico così, senza polemica. Non sono solo i siciliani ad avere la mentalità mafiosa, nel caso ci fosse bisogno di ricordarlo.
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